Twelve.

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Il sole di quella nuova mattina era, a tratti, coperto da delle nuvole grigie che sembravano divertirsi a decorare il cielo di New York e a giocare a nascondini tra i tanti grattacieli e le luci colorate che rallegravano il paesaggio che quella città aveva da offrire.
Taxi dal brillante colore giallo sfrecciavano lungo le strade curate, un generale lamento si innalzava nella lunga fila di automobili quando queste giungevano all'ennesimo semaforo e questo, come sempre, era rosso, i vetri dei locali scintillavano sotto la luce prodotta dalle loro stesse insegne, i più piccoli si rallegravano di quel magico gioco di colori, indicavano, con le loro piccole dita, le tante luci colorate e sognavano di poterle prendere, non per imprigionarle ma per offrire loro una nuova vita, però queste si allontanavano sempre di più e i bambini si limitavano a guardarle mano nella mano con i loro genitori, quei genitori che, risucchiati dal lavoro e dalla vita di tutti giorni che lasciava loro ben poco tempo per sognare e sperare, avevano dimenticato quanto bello fosse essere bambini, essere felici con poco, evadere dalla realtà perché i beni materiali non valgono quanto la felicità.

I tanti passanti di quella mattina sembravano prestare poca attenzione a ciò che li circondava, non prestavano attenzione alle luci delle strade, ai grattacieli che rispecchiavano i colori del cielo, non prestavano attenzione ai locali, curati in ogni minimo dettaglio, che li circondavano e attendevano solo uno sguardo curioso, forse quella gente era abituata a ciò che lo circondava e dimenticava quanto fosse bello continuare ad osservare i dettagli per imprimerli nella memoria e renderli parte di una vita.
Federico, con un raggiante sorriso stampato sul volto e gli occhi rivolti al cielo per imprimere ogni colore di questo, camminava tra quelle strade e si chiedeva se anche lui un giorno sarebbe diventato come tutti gli altri, si domandava se anche lui sarebbe finito per stancarsi di ciò che lo circondava e avrebbe smesso di osservare tutto con sguardo curioso, si chiedeva se anche lui avrebbe mai iniziato a pensare che non c'era bellezza in una città viva e sarebbe finito per diventare uno dei tanti passanti.
-"Ti piace New York?"
Una voce, che da qualche giorno a quella parte aveva iniziato a far parte della sua vita, lo distrasse dai suoi pensieri e lo riportò con i piedi su quel marciapiedi affollato.
Gli occhi cristallini di Federico si abbassarono sul ragazzo dal lungo cappotto nero al suo fianco e sorrise nel vedere le sue guance arrossate per il freddo.
-"Tanto." Rispose Federico e si avvicinò a lui. "E a te, Benjamin, piace New York?" Chiese.
Il giorno precedente, dopo la loro passeggiata a central park, il moro aveva insistito affinché il giorno seguente, quindi quella mattina, potessero fare colazione insieme, Benjamin sosteneva che una buona colazione poteva aiutarli ad iniziare bene la giornata e ancor di più se fatta con la giusta compagnia, Federico era arrossito all'idea di essere la giusta compagnia dell'altro, lui che non aveva mai creduto di potersi trovare tanto bene con qualcuno.
«-"La colazione può aiutarci a iniziare meglio la giornata e ancor di più se fatta con la giusta compagnia."
-"Sono la tua giusta compagnia, Benjamin?"
-"Giusta o meno sei la compagnia che voglio, Federico."»
Gli aveva risposto Benjamin e Federico, per un momento, si era sentito davvero bene, desiderato, amato e non era riuscito a dirgli di no, e forse neanche voleva farlo.
-"Non ti annoia mai, questo non posso negarlo." Rispose il moro e mise le mani nelle tasche del suo lungo cappotto nero, l'abbigliamento informale sfoggiato nei due precedenti era stato, nuovamente, sostituito dal suo classico abito di alta sartoria.
-"Neanche tu annoi mai." Replicò il più piccolo con gli occhi che brillavano di felicità.
Benjamin, felice come non lo era da tanto, si voltò verso di lui e sentì il suo cuore intenerirsi alla visione del minore sorridente e felice di stare con lui.
-"Tu credi?" Chiese sorridente. "Beh, potrei pur sempre parlarti della mia fantastica collezione di sassi, ne ho ben trecento e potrei narrarti almeno dieci episodi su ognuno di loro." Aggiunse prima di lasciarsi scappare una breve risata.
Il biondo non poté che unirsi a lui, era raro sentirlo ridere ma quando lo faceva, Federico aveva capito, era pura magia.
-"E io ti ascolterei volentieri." Rispose tra una risata e l'altra.
-"Oh, non credo proprio." Scosse la testa, divertito, il più grande. "Chiunque abbia provato a cimentarsi in questa avventura alla ventesima storia ha rinunciato." Continuò e finse un'aria dispiaciuta.
-"A me però piace ascoltarti parlare." Replicò Federico. "Ti ascolterei volentieri parlare anche di un sasso di nome Euphelia." Aggiunse.
-"Ti piace ascoltarmi parlare?"
-"Mi piace."

I due ragazzi avevano scelto per consumare la loro colazione un piccolo bar non troppo distante dall'azienda del più piccolo, erano solo cinque i bianchi tavoli presenti nel locale tinto di lilla e solo tre di questi erano occupati, di cui uno proprio da Benjamin e Federico, rumorosi studenti universitari sembravano impegnati in una discussione che non li avrebbe portati da nessuna parte, i loro progetti messi in bella mostra sul tavolo bianco e mille idee a girargli nella testa che sognava un mondo dove i giovani non erano considerati solo folli sognatori.
-"Allora, Federico, sei pronto per la tua prima riunione importante?" Chiese Benjamin, con un mezzo sorriso stampato sul volto, e poggiò le braccia sul tavolo che lo divideva dall'altro.
Il biondo si morse il labbro inferiore mentre la sua mente ripercorreva tutte le indicazioni che l'altro gli aveva fornito affinché affrontasse al meglio quella giornata lavorativa.
-"In realtà è la mia prima riunione in assoluto." Rispose e quel dettaglio non lo rassicurò per niente.
Il più grande sorrise intenerito e allungò una mano, sul tavolo bianco, per prendere quella dell'altro.
-"Andrà tutto bene, Federico." Disse. "Mi fido di te e sono sicuro farai del tuo meglio."
-"E se il mio meglio non fosse abbastanza?"
-"Mi fido di te, mi fido davvero di te, Federico." Ripeté Benjamin, sicuro di ciò che diceva, mentre con il pollice accarezzava il dorso della mano dell'altro.
Il cameriere dall'allegra t-shirt rossa giunse al loro tavolo e consegnò ai due i loro ordini.
-"Grazie Mille, Carlos." Lo ringraziò Benjamin e prese la sua tazzina contenente un caffè nero.
-"Di nulla, Benjamin." Rispose il ragazzo dall'accento argentino e sorrise ai due, poco prima il moro aveva detto al minore di essere un assiduo frequentatore di quel locale ed era finito per conoscere chiunque lavorasse lì. "E buon compleanno, inizi a diventare vecchio, eh?" Aggiunse ridendo prima che una donna anziana, appena entrata, richiamasse la sua attenzione.
Gli occhi azzurri di Federico si spalancarono a sentire le parole del ragazzo appena andato via, aveva davvero dato gli auguri di buon compleanno a Benjamin?"
-"È il tuo compleanno?!" Chiese Federico, anche se la sua aveva ben poco di una domanda.
Il moro annuì distrattamente mentre prendeva dello zucchero.
-"Sì, è il mio compleanno." Rispose.
-"E perché non mi hai detto nulla?"
-"Perché dovevo?"
Federico sbuffò e si buttò all'indietro sullo schienale della sedia in tinta con il tavolo.
-"Potevo farti gli auguri, un regalo." Rispose. "Potevo fare qualcosa, insomma." Aggiunse e fece uno strano gesto con le mani.
-"Mi hai già fatto un regalo." Replicò, serio, Benjamin. "Sei qui con me."

Terminal || Fenji.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora