Eighty one.

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-"Benjamin?" Lo chiamò Federico e l'altro si bloccò sulla soglia. "Sono io quello che è malato e morirà tra sei mesi, non tu."
Gli aveva detto Federico mentre lo guardava negli occhi, lo sguardo o la voce del biondo non avevano vacillato neppure per un momento mentre pronunciava quelle parole, il pugno era serrato sul tavolo ben imbandito con pietanze di tutti i tipi, ciocche di capelli biondi gli ricadevano sul viso diventato pallido a causa sua e nonostante Benjamin morisse dalla voglia di correre da lui, baciargli quelle labbra rosee e scostargli i capelli dal viso non ci riuscì, rimase come pietrificato sulla soglia della porta, era combattuto se restare lì, in cucina, e buttarsi ai piedi del più piccolo mentre gli chiedeva scusa o scappare al piano superiore e convincersi che fosse solo un brutto sogno, ma qualunque fosse la sua intenzione quelle parole lo fecero gelare sul posto.
Era vero.
Era Federico quello che sarebbe morto da lì a pochi mesi, non lui, lui aveva ancora tutta la vita davanti, senza Federico ma aveva una vita.
Quelle parole lo avevano colpito molto più di quanto lasciasse a vedere, erano la realtà e lui non aveva alcun potere contro il destino.

Quella giornata, in quella grande e lussuosa casa, era stata tra le più silenziose che quella casa poteva vantare, solo il rumore provocato dalle domestiche che si muovevano tra una stanza e l'altra lasciava intendere che ci fosse ancora qualcuno all'interno.
Benjamin aveva passato gran parte della giornata chiuso in camera sua, continuava a rigirarsi tra quelle coperte bianche che gli provocavano ancora più calore, lo sguardo fisso sul soffitto, forse nell'attesa che accadesse qualcosa, magari qualche miracolo, si decise, o meglio non era una sua decisione, ad uscire da quella stanza solo quando Diana, alle tre del pomeriggio, iniziò a bussare freneticamente e minacciò di buttare giù la porta se non fosse sceso a mangiare qualcosa, per sua fortuna non aveva incrociato il più piccolo e da quanto la donna gli aveva detto questo si trovava in giardino a prendere un po' di sole, Benjamin non aveva potuto evitare di chiederle se stesse bene ma la donna, più per spingerlo a raggiungerlo che per cattiveria, gli rispose che se era interessato a saperlo avrebbe dovuto chiedere a lui.
Benjamin però non lo fece.

Il buio era sceso sulla bella New York, le risate della gente che si trovava in strada arrivavano leggere alla grande casa che era diventata il rifugio di Benjamin, il rifugio dalla realtà.
Il moro non aveva abbandonato la sua stanza e gli era dispiaciuto notare, minuto dopo minuto, che l'altro non si era recato neppure per sbaglio, con una scusa qualsiasi, anzi lo aveva perfino sentito uscire, solo un'ora prima, con Diana, magari diretto al supermercato il maggiore però non sapeva che più volte nel pomeriggio il biondo era stato sul punto di entrare la stanza ma che si era bloccato al pensiero che lui non volesse vederlo, quindi avevo girato i tacchi ed era tornato giù, con un peso sul cuore e la sensazione di aver perso il suo fidanzato.

-"Che noia." Sbuffò il maggiore e colpì, leggermente, il letto ormai privo di coperte che erano state gettate ai piedi del letto.
Nel buio della casa il suono della porta di casa che si apriva, per poi richiudersi subito dopo, giunse alle orecchie del ragazzo e sentì il cuore fermarsi quando riuscì ad udire la risata limpida del più piccolo.
Federico era felice.
"È così bello sentirlo ridere, anche se non per merito mio."
Pensò e si colpì la fronte pensando a quanto stupido era a stargli lontano, ma non riusciva a fare altrimenti, non riusciva a guardarlo negli occhi consapevole di non avere più tutto il tempo che voleva da passare con lui.
Tutto però nella sua testa divenne meno chiaro, anche le idee che lo spingevano a stare lontano dal più piccolo, quando la porta della stanza si aprì e la luce del corridoio la invase prima che venisse richiusa, una testa bionda fece capolinea nella stanza buia e con solo pochi passi lo raggiunse.
-"Stai dormendo?" La voce di Federico risuonava leggera in quella stanza, insicura.
-"No." Si limitò a rispondere il moro e si voltò verso di lui, un braccio sotto al cuscino e l'altro sul materasso fresco.
La luce della luna illuminava il viso del minore è il moro non riuscì a non sorridere, restava la cosa più bella che potesse avere nella vita.
-"Possiamo parlare?"
-"Io non ho nulla da dirti."
-"Allora ascolta me." Sussurrò il più piccolo e gli prese la mano.
Benjamin sospirò e annuì.
-"Ti ascolto."
-"Mi dispiace per quello che ti ho detto questa mattina, mi dispiace farti continuamente pesare la mia malattia, da quando l'ho saputo non faccio altro che parlarne come se non ci stessi male anche tu.
Forse non me ne sono reso conto mentre lo faceva ma mi dispiace essermela presa anche con te, quel che mi è successo, quello che è dentro la mia testa, non è colpa di nessuno se non del destino.
Sono io quello malato, e va bene, ma sono egoista a pensare che solo io stia male, in fondo io tra sei mesi non ci sarò più mentre tu dovrai continuare a vivere e soffrire.
Mi dispiace perché non posso darti ciò che vuoi, ciò che meriti - un singhiozzò lasciò le labbra rosee del più piccolo mentre una lacrima gli rigava il viso arrossato per il pianto - m- mi dispiace se ho distrutto i nostri progetti, mi dispiace s- se ho distrutto tutto.
Mi dispiace, Benjamin, se ho distrutto te." Concluse Federico tra i singhiozzi.
A quella vista il moro non riuscì a trattenersi, la facciata che aveva lottato per costruire si disintegrò tra le lacrime del suo fidanzato, si alzò di scatto e circondò il busto dell'altro tra le sue braccia, stringendolo al suo petto.
-"Nonononono." Cantilenò il moro e lo strinse il più possibile. "Ti prego non piangere amore mio, ti prego, ti prego non piangere..." Sussurrò e gli accarezzò i capelli biondi.
-"M- mi dispiace, B- Benjamin..." Singhiozzò il più piccolo e si strinse al corpo del suo fidanzato. "I- io non volevo..."
-"No, Federico, non è colpa tua.
Non è assolutamente colpa tua." Lo interruppe Benjamin e si spostò per poterlo guardare negli occhi. "Non devi scusarti di nulla, tu non hai colpe, nessuno ha colpa in questa storia.
Non devi dire che ti dispiace perché dovrei farlo io, dovrei essere io a chiederti scusa per essermi allontanato da te ora che ne hai più bisogno.
Non dovevo farlo, lo so, ma non riesco a guardarti negli occhi e pensare che tra soli pochi mesi non potrò più farlo, che le sensazioni che provo con te saranno solo un ricordo nelle mie serate senza di te.
Non riesco ad accettare quello che succederà e, dannazione, non riesco ad accettare neanche la tua decisione di non sottoporti a nessun tipo di cure, io sarei disposto a portarti sulla luna se solo servisse ma tu non vuoi e io mi sento impotente, mi sento inutile.
Forse sono egoista, anzi lo sono, ma ho paura.
Ho paura che un giorno mi sveglierò e tu sarai al mio fianco, privo di vita, che un giorno mi sveglierò e mi ritroverò solo.
Ho paura di quel che succederà e odio, mi odio per non poter far nulla per salvarti.
Ho paura, Federico."
Il più piccolo, ancora in lacrime e in preda ai singhiozzi, prese il viso del maggiore, che si stava sforzando per non piangere, tra le mani e gli stampò un bacio sulle labbra.
-"Credi che io non abbia paura?" Chiese. "Io ho una fottuta paura di ciò che succederà, mi fingo coraggioso, fingo che non sia nulla di grave ma non riesco a fare altro che pensare alla fine.
Ho paura, Benjamin, ho paura che quando andrò a dormire non mi risveglierò.
Ho paura che ciò che c'è nel mio cervello mi faccia accasciare a terra da un momento all'altro senza darmi la possibilità di rialzarmi.
Ogni giorno, da quando l'ho saputo, non posso fare altro che ringraziare chiunque abbia deciso di donarmi un nuovo giorno e prego affinché siano più di quanti il dottore me ne abbia dati, pur sapendo che è inutile, prego affinché io possa restarti accanto un po' di più, per bearmi delle tue coccole e del tuo sorriso.
So però che le mie preghiere non hanno alcun effetto e quindi ho deciso di godermi ogni giorno che mi rimane, non ho intenzione di restarmene chiuso in casa ad attendere che i mesi finiscano e così anche la mia vita, voglio vivere al massimo ogni minuto, non voglio avere rimpianti.
Ho paura ma voglio vivere ciò che mi resta e mi piacerebbe che tu lo facessi con me."
Il più grande si lasciò andare ad un singhiozzo e baciò le mani del suo fidanzato.
-"Voglio vivere con te, lo voglio." Singhiozzò. "Ora però, ti prego, fai l'amore con me." Aggiunse.
Federico non se lo fece ripetere due volte, catturò le labbra del maggiore e lascio che questo si sdraiasse sul letto morbido, quella era la loro notte.

I vestiti dei due ragazzi decoravano il pavimento, già occupato dalle coperte totalmente scacciate dal letto, la luce della luna illuminava i corpi nudi e avvinghiati dei due ragazzi, le mani di Benjamin vagavano lungo la schiena nuda del più piccolo che si trovava sopra di lui, Federico, allo stesso tempo, si spingeva ritmicamente nel corpo atletico del maggiore e si beava del suono dei suoi gemiti.
-"Ti amo." Continuava a ripetere Benjamin tra un gemito e l'altro.
-"Ti amo anch'io." Sussurrò il biondo e gli stampò un bacio sulle labbra carnose e arrossate. "Sei meraviglioso, Ben." Aggiunse mentre lo guardava gemere di piacere sotto di lui.
-"Giurami che resterai con me." Disse il più grande e si morse il labbro inferiore, mentre stringeva il corpo dell'altro a lui. "Giuramelo, ti prego." Aggiunse e una lacrime scese a rigargli il viso arrossato.
Federico sentì una morsa stringergli al petto ma non lo lasciò vedere all'altro, allungò una mano per asciugargli il viso e abbozzò un sorriso.
-"Non posso farlo, non più." Sussurrò. "Ti giuro però che ogni giorno che sarò in vita lo passerò con te, lo dedicherò a te.
Fino a quando potrò, ti giuro che starò con te, Benjamin."

Terminal || Fenji.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora