Eighty three.

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-"Voglio prometterti che anche quando mi sembrerà tutto buio non rimpiangerò mai di averti conosciuto e tantomeno di averti amato, voglio prometterti che invecchierò con te, anche se tu non ci sarai.
Voglio prometterti di amarti, di amarti come se fosse il primo ma anche come se fosse l'ultimo.
Voglio prometterti che io sarò sempre tuo, proprio come tu sarai sempre mio.
Voglio prometterti un futuro insieme."
Federico sentiva il suo cuore battere all'impazzata nel suo stesso petto mentre il suo fidanzato, la persona che più amava in quel mondo, gli pronunciava parola che sapevano provenire dirette dal suo cuore, mentre delle lacrime rigavano i volti di entrambi, la realtà era dura d'accettare, tanto dura, ma loro facevano del loro meglio per ignorarla e godersi il tempo che gli restava, anche se era troppo poco.
-"Ti amo, Benjamin." Aveva sussurrato il più piccolo e si era avvicinato, di qualche passo, al suo fidanzato mentre le rose che reggeva toccavano i loro petti. "Ti giuro che anch'io, ovunque sarò, ti amerò fino all'ultimo istante che l'eternità avrà, sarò al tuo fianco in ogni momento della tua vita, la stessa che mi sarebbe piaciuto vivere con te, mano nella mano e con la gioia nel cuore per i tuoi, nostri, successi - una lacrima più amara delle altre gli rigò il viso già bagnato - ma in un modo o nell'altro lo farò ugualmente.
Ti amo, mio piccolo Ben, e lo farò sempre.
Che sia in questa vita o in un'altra.
Ti amo."
Il moro, a quel punto, gli prese le rose tra le mani e le poggiò, in modo un po' maldestro, sul muretto in pietra dietro di loro, prima di prendere il viso del suo fidanzato tra le mani e far incontrare le loro labbra in un bacio intimo e disperato, folle.

Erano passati diversi giorni da quando il più grande aveva organizzato una cena per il suo fidanzato, cena che sembrava aver apprezzato molto, e da quando si erano promessi di amarsi a prescindere dagli eventi che il destino gli avrebbe riservato.
In quei giorni Benjamin e Federico avevano passato tutto il tempo disponibile insieme, ogni giorno si inventavano qualche nuova attività da fare insieme ma soprattutto nessuno dei due aveva osato riparlare della malattia del più piccolo, quando la sera si abbracciavano nel letto non pensavano alla possibilità che quella sarebbe potuta essere l'ultima volta, si limitavano ad apprezzare il tempo che avevano senza pensare alla fine.
Quella mattina il moro era stato costretto a recarsi in azienda, Dylan l'aveva chiamato supplicandolo di andare ad aiutarli, aveva blaterato qualcosa su un problema enorme ma il ragazzo era fin troppo assonnato per capire anche solo una delle sue parole, quindi, si era limitato a dirgli che sarebbe arrivato dopo circa un'ora e di preparare una relazione con delle precise spiegazioni riguardanti il problema di cui tanto blaterava, aveva chiesto al minore di andare con lui ma questo gli aveva risposto di avere ancora sonno e che preferiva restare a letto ancora un po', davanti al labbruccio di Federico, Benjamin, non era riuscito a fare altro che sospirare e salutarlo prima di uscire.

Il piccolo Federico continuava a strisciare i piedi nudi sul pavimento freddo della casa, mentre continuava a sbadigliare e si reggeva a qualsiasi cosa fosse abbastanza vicino per farlo, per evitare che quei tremendi giramenti di testa finissero per farlo cadere.
-"Benjamin?" Mugolò Federico, la voce impastata poco più alta di un sussurro.
Nonostante la sua voce fosse terribilmente bassa, però, sembrò che qualcuno lo avesse sentito e dopo pochi istanti Diana, che era dall'altro lato della stanza per sistemare, lo raggiunse e gli sorrise.
-"Buongiorno raggio di sole!" Esclamò.
Il più piccolo fece una piccola smorfia di dolore quando una fitta lo colpì e aumentò la presa sulla sedia.
-"Benjamin?" Mugolò nuovamente.
-"Tesoro, è andato in azienda, te ne sei dimenticato?"
In quel momento il minore si ricordò di quando, circa due ore prima, il suo fidanzato gli aveva detto che sarebbe andato in azienda, perché Dylan lo aveva chiamato dicendogli che c'era un grosso problema e necessitavano la sua presenza, e ricordò anche che Benjamin gli aveva chiesto di andare con lui ma aveva rifiutato dicendo di essere stanco.
-"Federico, stai bene?" Gli chiese la donna. "Sei molto pallido, piccolo, e hai gli occhi rossi." Aggiunse.
-"M- mi gira la testa..." Balbettò Federico mentre tutto intorno a lui diventava meno nitido, anche il viso della donna che aveva davanti era sempre meno chiaro e sentiva che la sola stretta alla sedia non sarebbe bastata a sorreggerlo, il suo corpo diventava sempre più pesante mentre le sue gambe diventavano sempre più molli e sapeva che da lì a poco non sarebbero più state in grado di sostenerlo.
Diana, allora, si sforzò di sorridere e gli scostò i capelli dal viso.
-"Vieni, andiamo a fare colazione." Disse e gli prese la mano. "Dopo ti sentirai meglio." Aggiunse e fece per recarsi in cucina ma era troppo tardi.

In azienda tutto era molto più caotica di quanto lo era solitamente, il problema di cui Dylan gli aveva parlato si era rivelato essere molto più grave di quanto il più grande non pensasse ma, per fortuna, era riuscito a trovare una soluzione e il problema stava lentamente rientrando, quello che però il ragazzo non sapeva era che a casa sua, dove si sentiva al sicuro, c'era un problema ben più grave.
-"Dylan come vanno le cose?" Gli chiese il moro mentre rovistava tra dei documenti sulla scrivania bianca del ragazzo.
-"Molto meglio." Rispose il ragazzo dai capelli biondi. "Solo alcune operazioni e sarà tutto risolto." Disse.
Benjamin sospirò di sollievo e si passò una mano sul viso stanco.
-"Ottimo." Disse prima che il suo cellulare iniziasse a trillare nella tasca posteriore dei suoi jeans neri, con un gesto pigro lo prese e trascinò il dito sulla cornetta verde senza neppure leggere il nome del mittente.
-"Pronto?" Mugolò mentre continuava a rovistare tra i documenti.
-"Benjamin." La voce seria di Diana fece sobbalzare il maggiore che, involontariamente, si agitò. "Devi tornare subito a casa."
-"Diana, che cosa è successo?"
-"Federico sta male."

Quella telefonata era stata una vera e propria doccia fredda per il più grande che aveva smesso di rovistare tra quei documenti, aveva dimenticato il problema dell'azienda o qualsiasi altra cosa, nella sua mente c'era solo Federico e doveva, voleva, raggiungerlo il primo possibile, infatti, così fece, dopo soli pochi minuti era già in macchina pronto a sfrecciare tra le strade diretto verso casa sua e dopo soli cinque minuti, e una quantità indefinita di imprecazioni, arrivò.
-"Diana!" Urlò Benjamin non appena aprì la porta d'ingresso.
Una delle domestiche, una ragazza dai capelli color carota, nel sentirlo urlare lo raggiunse con un'espressione preoccupata stampata sul volto.
-"È nella vostra camera, signore, è con il dottor Cameron." Gli disse.
Il moro le fece un cenno con la testa in segno di ringraziamento e corse al piano di sopra, rischiando di inciampare sui tanti tappeti di quella casa; non appena giunse davanti alla stanza, spalancò la porta e si guardò intorno spaventato, temeva di ricevere quella notizia che tanto lo spaventava.
-"Benjamin." Disse Diana non appena lo vide entrare nella stanza, qualche lacrime ormai asciutta sul volto paffuto della donna e gli occhi iniettati di sangue.
Il ragazzo si costrinse ad assumere un completamente dignitoso, chiuse la porta alle sue spalle e con passi quasi meccanici raggiunse il letto, la vista però del piccolo Federico immobile al centro del letto, il viso pallido e privo di imperfezioni, gli fece spezzare il cuore.
-"F- Federico..." Balbettò e si inginocchiò ai piedi del letto, prese la mano del ragazzo e mai gli era sembrata più fredda.
-"Tranquillo, Benjamin, sta solo dormendo." Gli disse Ashton e gli mise una mano sulla spalla.
-"Che cosa è successo?" Chiese il più grande senza neanche voltarsi a guardarlo.
-"Ha avuto un mancamento, però gli ho dato quel rimedio naturale e si è ripreso, ora sta riposando."
-"Perché ha avuto un mancamento?"
Il dottor Cameron sospirò e tolse la mano dalla spalla del ragazzo.
-"È normale succeda, come ti ho già detto sta davvero male e la mancanza di cure non fa altro che farlo peggiorare."
Il più grande, rigido come non mai, voltò il capo verso l'uomo e se avesse potuto lo avrebbe fulminato con lo sguardo in quello stesso momento.
-"Ashton neanche a me piace che lui non si sottoponga alle cure ma è una sua decisione e io non ho intenzione di convincerlo a fare nulla." Disse scandendo bene ogni singola sillaba.
L'uomo annuì e prese la sua valigetta marrone.
-"Dovrebbe svegliarsi tra un paio d'ore, fallo mangiare e fallo riposare il più possibile." Disse e si recò verso la porta. "Per qualsiasi cosa chiamami, ciao Benjamin." Aggiunse prima di andare via.
Diana, che fino a quel momento era rimasto in silenzio, si avvicinò al ragazzo inginocchiato ai piedi del suo fidanzato e gli mise una mano sulla spalla coperta da una camicia bianca.
-"Come stai?"
-"Dovresti chiedere come sta lui, non io."
-"A me interessa anche sapere come stai tu, tato."
Benjamin, nel sentire quel soprannome, si voltò verso la donna che lo aveva cresciuto e non riuscì a trattenere un singhiozzo.
-"Sto male, Diana." Rispose. "Io cerco di non pensare che tra pochi mesi lo perderò, cerco di convincermi che con lui farò ancora tante cose e vivrò tantissimi anni con lui, cerco di convincermi che tu andrà per il meglio ma non andrà così.
Nulla andrà per il meglio.
Federico è malato e morirà, giorno dopo giorno morirà sotto il mio sguardo e io non potrò farci nulla.
Io cerco di non pensarci ma lui andrà via e io resterò solo."

Terminal || Fenji.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora