Six.

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Qualche decorazione di natale, che ancora non era stata rimossa, illuminava l'interno del piccolo bar posto all'angolo di una strada non troppo affollata.
Le luminarie colorate rendevano allegra, l'altrimenti vuoti, la semplice parete in legno dove se ne stavano poggiati dei divanetti in pelle verde e dei tavolini del medesimo materiale della parete.
Quello dove i due ragazzi, Benjamin e Federico, erano appena entrati non era di certo il bar più rinomato e famoso di tutta New York, anzi, erano in pochi a conoscere l'esistenza di quel locale ma quei pochi conoscevano anche le sensazioni che sapeva trasmettere, a detta del più grande, chiunque assaggiasse il caffè che preparavano in quel bar finiva per diventarne dipendente, il moro trovava che fosse la bevanda più buona mai assaggiata in vita sua.
Federico osservava rapito la composizione di quel locale, osservava la semplicità di quel luogo e trovava fosse adatta all'ambiente e alla gente che ospitava, trovava che i tavolini in legno fossero in perfetta sintonia con le pareti, che i divani in pelle verde fossero quel tocco di colore che diventata piacevole alla vista, le luminarie lo facevano sorridere e gli ricordavano i pochi momenti felici che aveva vissuto in famiglia.

Dopo un'attenta analisi dello spazio che lo circondava il suo sguardo cristallino ricadde sul ragazzo dal ciuffo moro e si sorprese di notare che questo già lo stava osservando e, Federico, avrebbe quasi potuto giurare che gli piaceva ciò che stava osservando, un mezzo sorriso era stampato sul volto del suo capo e una strana luce gli brillava negli occhi ma il biondo non seppe dire se fosse dovuta alle luminarie o a lui.
Federico si smosse, improvvisamente a disagio, sulla divano in pelle verde mentre le sue guance si tingevano di una leggera sfumatura di rosso.
-"Ehm, uhm..." Si schiarì la voce Federico e si portò le mani sul viso arrossato. "H- ho qualcosa s- sulla faccia?" Chiese balbettando e pregò affinché non fosse così.
Il moro sorrise e si passò una mano tra i capelli ben sistemati.
-"Ti sta bene questa leggera sfumatura di rosso." Disse. "No, comunque no, non hai nulla sul viso." Aggiunse e si sporse in avanti.
Il più piccolo non riuscì ad evitare di sospirare per il sollievo, non ci teneva a mostrarsi sporco davanti al suo capo e, per giunta, il suo primo giorno di lavoro dopo il suo ritardo.
-"A- allora perché mi stava g- guardando?" Chiese ancora il minore e si maledì mentalmente per essere tanto timido, aveva imparato che al suo nuovo capo piacevano le persone sicure e lui non poteva di certo rientrare in quella categoria.
-"Non posso farlo?" Domandò di rimando il maggiore e inarcò un sopracciglio.
Il volto del più piccolo perse ogni colore, compresa la leggera sfumatura di rosso che aveva appena acquisito, e scosse energicamente la testa, forse era meglio avere il viso sporco anziché sembrare maleducato.
-"No, certo che no!" Esclamò mentre si smuoveva furiosamente sul divano verde. "Cioè sì, certo che può farlo!
Può guardarmi quanto vuole!" Si corresse e sentì, improvvisamente, l'aria abbandonare quella stanza ma sembrava che nessun altro oltre lui ne notasse gli effetti.
Un sorriso malizioso comparve sul volto di Benjamin che si inumidì le labbra con la lingua.
-"Quindi vuoi che ti guardi?" Chiese mentre si tratteneva a stento dal ridere di cuore.
Il volto del biondo, ancora una volta, subì un cambiamento e si tinse di una sfumatura di rosso intensa, quella che doveva essere una tranquilla sosta al bar per lui si stava rivelando un quarto d'ora orribile.
-"Stavo solo scherzando." Aggiunse Benjamin e si gettò contro lo schienale del divano, prima di scoppiare a ridere. "Rilassati, Federico, non ti fa bene essere così tanto agitato." Continuò e regalò un sorriso sincero al ragazzo che aveva davanti.
Il biondo fu tentato di scusarsi ancora una volta ma la voce del maggiore riecheggiò nella sua mente.
Questo mondo non ha bisogno delle tue scuse ma delle azioni che compi.
-"Oh." Fu tutto ciò che disse, sapeva non fosse l'intervento più brillante ma non gli veniva in mente altro se non scusarsi. "Va bene." Aggiunse sottovoce e abbassò lo sguardo sul tavolino in legno.
-"Nel caso ti interessasse saperlo." Iniziò a parlare il più grande. "Ti guardavo perché mi ricordi tanto me una decina di anni fa." Aggiunse.
Gli occhi di Federico si sgranarono mentre le immagini fantasiose di un Benjamin tredicenne si facevano spazio nella sua mente.
-"Davvero?" Chiese incredulo.
Il moro sorrise e prese la sua tazza di caffè fumante.
-"Davvero." Rispose annuendo. "Mi sorprende il tuo tono incredulo.
Non sono nato sulla poltrona del mio ufficio, ho avuto anch'io la mia infanzia, la mia adolescenza e i miei momenti in cui non mi sentivo accettato.
Non sono nato imprenditore, ci sono diventato, sono nato solo come Benjamin." Continuò.
Il più piccolo si diede mentalmente dello stupido, erano lì da meno di dieci minuti e lui era già riuscito a sembrare maleducato e anche stupido, poteva finire in modo peggiore quella giornata?
-"Io non voleva offenderla..." Sussurrò il minore. "Solo non vedo che cosa io e lei, anche se lei è cambiato, possiamo avere in comune.
Credo che non esistano due persone più differenti di noi." Aggiunse ma non sapeva se quella poteva migliorare o meno la situazione, era ciò che pensava ma Benjamin non aveva mai chiesto la sua opinione.
-"Non puoi dire che non abbiamo nulla in comune se nemmeno mi conosci." Rispose Benjamin ma nel suo tono non c'era cattiveria, per niente. "A mio parere potremmo anche essere le persone più somiglianti che esistano.
Sarà solo il destino a dircelo." Aggiunse e bevve un generoso sorso di quella bevanda marrone dolciastra che se ne stava in una tazza bianca stretta nella sua mano destra.
-"Crede al destino?" Chiese il biondo e si stupì della sua stessa domanda, poteva commentare la risposta dell'altro in tanti modi ma aveva scelto quello più banale.
-"Forse dire che ci credo è esagerato." Rispose il più grande. "Non posso però negare che mi affascina l'idea che le nostre intere esistenze siano state già decise e scritte da qualcuno.
Mi affascina ma mi spaventa allo stesso tempo." Continuò.
-"Perché la spaventa?" Continuò a domandare Federico mentre giocherellava con la poca cioccolata calda rimasta nella sua tazza verde con i pois bianchi.
-"Non ti spaventa il non essere padrone della tua vita?" Rispose il moro. "Non ti spaventa l'esistenza e vivere una vita che non hai scelto tu?
Fare delle scelte che magari ti fanno soffrire solo perché qualcuno l'ha deciso.
Non ti spaventa vivere solo per volere di qualcun altro ed essere una pedina che fa tutto ciò che gli viene ordinato?
Non ti spaventa fingere di vivere?" Continuò con una certa serietà nella voce.
-"Vista così è davvero brutto." Replicò il più piccolo. "Comunque sia, chiunque abbia scritto la mia vita deve avere una visione davvero pessimistica e deve avere una passione sfrenata per i drammi." Aggiunse e cercò di ridere ma tutto ciò che uscì dalle sue labbra fu un sospiro rumoroso.
-"Ora sei a New York pronto per iniziare una nuova vita." Disse Benjamin. "C'è chi non ha avuto la tua stessa possibilità, quindi potrebbe andarti peggio, non credi?" Chiese e finì il suo caffè.
-"Potrebbe." Mugolò il biondo e fece spallucce, il suo sguardo si puntò verso l'enorme finestrino di quel locale. "Sta facendo buio."
Il più grande seguì il suo sguardo e annuì.
-"Sarà meglio andare." Disse e si alzò. "Ci penso io qui, tu va pure a casa." Aggiunse e prese il suo cappotto nero.
-"Ma no, lasci che la riaccompagni almeno in azienda." Replicò frettolosamente Federico e lo imitò. "E qui ci penso io." Aggiunse.
Benjamin scosse la testa e gli fece l'occhiolino.
-"Buonanotte, Federico."

Terminal || Fenji.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora