Capitolo 14.- La ragazza italiana

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Pasta. Calendula fissò il piatto grigiastro colmo di una misteriosa sostanza grumosa che la cuoca della mensa scolastica aveva definito "pasta". A lei sembrava piuttosto vomito condensato o colla. Alzò lo sguardo sulla donna che la fissava con un mestolo in mano, l'espressione felice.

-Allora ragazza italiana?- chiese col suo accento del Sud, all'evidente ricerca di sostegno e approvazione da parte dell'unica studentessa che sapeva cosa fosse la pasta. Ed anche dell'unica che non portava un coltellino a serramanico con sé.- Degna della tua nonna?

La ragazza sospirò e accennò un sorriso.- Indubbiamente particolare.- poi si voltò e si diresse mogia al tavolo. La mensa di solito era il posto migliore della scuola, forse perché era deserta. La maggior parte degli studenti mangiavano perennemente nel cortile intero, con la neve, con la pioggia, con il sole. E per una come Calendula, che finiva costantemente presa di mira, meno persone c'erano, minori erano le probabilità di essere presa a pugni. Molti di quegli studenti poveri in canna la odiavano: in America poteva anche essere una mendicante- o comunque vivere di stenti- ma in Italia, e loro lo sapevano bene, aveva una famiglia. Una madre e un padre, un fratello e amici. Era quello che definivano "una bianca viziata" ed era difficile non passare per tale, anche se lei si sforzava di non odiare quei muri tetri, i graffiti sulle porte, i corridoi poco illuminati e ammuffiti. Anche se attraversava ogni giorno il cancello pericolante e teneva il capo chino, lei spiccava fra gli studenti, che frequentavano la scuola per puro gusto di distruggere la vita ai professori. Calendula non poteva permettersi di fingersi una cattiva ragazza: se voleva finire gli studi e tornare a casa senza perdere un anno scolastico, doveva avere voti sempre ottimi. E finiva costantemente con l'essere la vittima di ogni ragazza o ragazzo: non aveva mai imparato a fare a pugni, non era brava nella corsa; così cercava di evitare gli assembramenti di suoi coetanei, anche se non sempre era facile.

Punzecchiò la pasta e alzò gli occhi. C'erano solo altri tre ragazzi, stretti allo stesso tavolo, che tremavano. Le si aggrovigliò lo stomaco: cosa avrebbe detto suo padre? Cosa avrebbero detto tutti? Se mai fosse riuscita a tornare a casa, avrebbe dovuto mentire, dire che aveva avuto un anno da favola, che si era fatta un sacco di amici...l'unica cosa simile ad un amico era Elsa, la trentenne che lavorava al Marinaio Invecchiato e che la aiutava con gli ordini. Sapeva che aveva due bambini piccoli, forse dieci anni la maggiore, ma non erano grandi confidenti. Era sola, povera e stava mangiando pasta fatta di colla. Probabilmente sarebbe stata pestata prima della fine delle lezioni. Quella sera avrebbe dovuto fare un turno di otto ore in un locale disgustoso. Le bollette si accumulavano. E doveva andare a trovare lo zio Claudio, che l'avrebbe fissata in modo imbarazzante con quegli occhi marrone scuro. Stava giusto pensando che la sua vita faceva sempre più schifo, quando la porta della mensa si aprì di scatto, con un rumore violento. I tre ragazzi al tavolo vicino si fecero piccoli piccoli quando videro chi era il nuovo arrivato. Anche Calendula sospirò, lasciando cadere la forchetta, mordendosi un labbro.

Kevin, il padrone indiscusso della scuola. Si guardò attorno, gli occhi blu scuro che si posavano in ogni angolo del suo regno, fino a che non individuarono Calendula. Vide che sorrideva, mentre si voltava a parlare con quelli che la ragazza aveva ribattezzato "scemo e più scemo": due ragazzi dell'ultimo anno dall'aria ottusa, delle guardie del corpo, in buona sostanza. Calendula non era molto brava a ricordare i nomi americani, così a volte li chiamava Tyger e Goyle, in onore di Harry Potter, uno dei suoi eroi cartacei preferiti: somigliavano molto ai due personaggi della Rowling, erano montagne di muscoli ottuse, capaci solo di menare le mani. Kevin era più intelligente, ma restava un attaccabrighe. A volte si chiedeva se non avesse un disturbo della personalità o qualcosa del genere, visto che a volte non pareva in grado di contare fino a tre, mentre altre ideava piani per torturare i nuovi arrivati degni di un film di Saw. 

Si avvicinò, facendosi strada rumorosamente tra i tavoli, mentre lei lo fissava con astio. Non le aveva mai fatto nulla, fatto che molti non avevano mai smesso di trovare ironico e divertente: si era sparsa una voce - che faceva rabbrividire Calendula- secondo cui Kevin la stava addirittura proteggendo dai tiri mancini delle ragazze perché era innamorato. Mentre lo guardava avvicinarsi, la pelle ambrata e i capelli neri umidi, la ragazza per la prima volta pensò che poteva essere vero. E si sentì sul punto di vomitare. Spinse il piatto lontano, proprio mentre scemo e più scemo si sedevano, piantando le mani enormi nella plastica. Calendula sbattè le ciglia, alzando la testa: Kevin le rivolse un ampio sorriso che forse avrebbe fatto cadere ai suoi piedi chiunque. Tranne lei.

-Ehi, Caly.- la salutò con un accecante occhiolino.- Come va?

-Bene.- disse lei cautamente. Come con un cane randagio, era meglio stare sull'attenti con Kevin.- E a te?

-Non c'è male.- poi si grattò il mento, piegando la testa.- Senti. So che vieni dall'Italia, quindi immagino ti piaccia la pizza.

-No.- rispose lei piattamente.- Questo è uno stereotipo.

-Un cosa?

-Nulla.- sospirò.- Uhm, in effetti non amo la pizza.- si scusò.- E sono in ritardo...

-Aspetta.- la richiamò lui trattenendola per il polso. Calendula rabbrividì per quel contatto e non potè trattenersi dal notare quando fossero grandi le mani di lui rispetto alle sue fragili ossa. Kevin sembrava esattamente il tipo di ragazzo che poteva diventare violento con la ragazza che si rifiutava di amarlo.- Allora perché non vieni al Luna Park? Sabato sera?

-Lavoro.- borbottò, per una volta felice di avere un impegno.- Sai...non posso cambiare turno, perché sono tutti malati ultimamente...mi dispiace...morbillo...

Si alzò, scivolando con fatica dalla sua presa ferrea, incamminandosi verso il cortile, la borsa con i libri stretta al petto. Fuori, molti studenti sedevano al sole tiepido che aveva fatto capolino oltre le nubi di quei giorni, godendosi la musica a palla. Aloni di denso fumo dolciastro aleggiavano nell'aria, come nebbia nefasta e fuori dal cancello uno spacciatore stava fissando la facciata della scuola, contando i secondi che lo separavano dalla campanella, che sarebbe suonata di lì a due ore. Kevin la seguiva, con i due tirapiedi alle calcagna. Molte ragazzine lo fissavano e sospiravano in modo teatrale, sbattendo le ciglia.

- Allora magari una passeggiata al chiaro di luna?- propose, comparendo al suo fianco, senza difficoltà a mantenere la sua andatura.- Solo io e te...

-Ecco....- disse esasperata, guardandosi attorno in cerca di una via di fuga. Sotto un albero morto, i rami tesi invano verso il cielo, molti  ragazzi la guardavano e ridevano, intuendo che avevano avuto ragione e che Kevin era davvero interessato a lei. La porta di ingresso all'ala delle aule era chiusa, e un professore corpulento, sudando abbondantemente, controllava che nessuno entrasse.- Io...

-Domenica sera magari? Al molo?- Kevin le sorrise, gli occhi che brillavano di malizia. Da sola, al buio, in un posto malfamato ed isolato con lui? Calendula trattenne un urlo di frustrazione.-Veramente...

-Esce con me.-disse una voce decisa.


ANGOLO DELL'AUTORE.

Chi avrà mai osato mettere becco nel tentativo di "rimorchio", se mi passate il francesismo raffinato, di Kevin? u.u

Prigioniero- Senza aliDove le storie prendono vita. Scoprilo ora