Capitolo 28.- La sua strada. La sua luce

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La portò in Infermeria senza dirle una parola, lasciandola alle cure di una Fata spaventata, piccola e mingherlina, l'unica disposta a vivere tra i russi e se ne andò, sotto gli occhi distrutti di lei, che parevano aver versato così tante lacrime da non averne più a disposizione.

Era uno strazio doverla lasciare sola, ma quella sera, Matthew doveva andare in Missione; avrebbe solo voluto sdraiarsi al fianco di Calendula, accarezzarle il viso, controllare che quella Fata minuscola facesse le cose per bene, che nessuno provasse a farla ancora del male, baciarla, spiegarle cosa stava succedendo nella sua testa, cullarla fino a che non fosse crollata addormentata tra le sue braccia, la testa contro la sua spalla e allora l'avrebbe solo guardata dormire per tutta la notte, accarezzando la sua schiena, facendole dimenticare tutto il male che le avevano fatto.

Ma non poteva fare nulla del genere, perchè Luska lo voleva in Missione e se lei voleva qualcosa, lo otteneva, in un modo o in un altro. Non voleva rischiare che facesse del male a Calendula per convincerlo a combattere, avrebbe annullato l'ultimo brandello di fiducia che lei riponeva in lui.

Indossò svogliato la divisa, controllandosi nel riflesso; gli mancavano i capelli lunghi, anche se sapeva che quel taglio gli donava e soprattutto lo faceva sentire meno simile al Matthew del passato, così come il tatuaggio che ornava il suo fianco; aveva sempre desiderato farsene uno, gli sembrava un gesto ribelle, contro le regole dell'Ordine che lo volevano perfetto, con le soli cicatrici impresse nella carne.  Cicatrici come quelle che Volodjia aveva lasciato a Calendula.





Scosse il capo, sistemando la Katana nel suo fodero e si diresse all'Ingresso. Era maestoso, come il resto della Casa, con divani di pelle lucida e un alto soffitto a volta, con dei cassettoni di dimensione diversa, dorati, con piccoli simboli al centro; osservandolo più attentamente, però, poteva notare quanto fosse sporco e trascurato il posto: i bracieri erano negligentemente abbandonati a loro stessi, la cenere si accumulava sul pavimento sporco e la pelle che copriva i divani era rosicchiata dai topi.

-La tua amichetta non viene?- chiese la voce ironica di Ksenija.

Era ferma davanti al portone, le sue lame alla cintura, i capelli raccolti in una coda. Gli ricordava dolorosamente Nadine con quella chioma di oro pallido, ma per il resto, lei e la sua vecchia amica non aveva nulla da spartire; Matthew aveva provato a chiedere qualcosa su di lei, ma Luska aveva detto che Nadine non era mai stata benvoluta là dentro e di non parlare di lei in sua presenza: aveva dedotto che avesse partecipato alla Rivoluzione che suo padre Nicolaj aveva causato, ma come fosse scappata da quella Casa sembrava un mistero.

Gli Armati che lui frequentava erano tutti troppo giovani per ricordarla e poi, non disobbedivano facilmente agli ordini:  il pugno di ferro era un metodo ottimo per farsi obbedire e Luska lo aveva capito perfettamente.

-Ovviamente no.- commentò una voce roca e Volodija comparve con Michail, fissando i suoi occhi castano scuro in quelli azzurri di Matthew. L'Armato sorrise vedendo il livido che gli deturpava il viso in corrispondenza del punto in cui lo aveva colpito; gli bruciava la mano, aveva le nocche scorticare, ma lo avrebbe rifatto mille volte: quel bastardo l'aveva frustata.

Il dolore poteva essere poco importante se era il suo, ma lei non doveva essere toccata, mai, da nessuno.- Mi hanno detto che è dalla Fata, Marysol, per farsi curare. Che cosa patetica, le ho dato sì e no due colpi.

Matthew controllò che la spada fosse ben fissa alla cintura.- Smetti di pensare a lei.- alzò gli occhi sul suo viso.- Nessuno di voi dovrà mai più toccarla, o ne pagherà le conseguenze.

Prigioniero- Senza aliDove le storie prendono vita. Scoprilo ora