Capitolo 12.- Prigioniera

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-In piedi.- Calendula non obbedì e non reagì quando la guardia la rimise bruscamente sulle sue gambe, afferrandola per la spalla e facendo tintinnare la catene che le bloccavano in una morsa i polsi.

La spintono per farla avanzare verso la porta delle prigioni, che lei varcò a testa bassa. Aveva paura e anche se non era una novità in quegli ultimi mesi, la sensazione era più pungente del solito. Non aveva idea di dove fosse, del perchè il Legame l'avesse portata lì.

 Era scappata da Neithel solo per finire in una prigione piccola, lurida, in un posto freddo e inospitale, dove nessuno la voleva.

Aveva cercato di spiegare cosa stava succedendo, che non aveva voluto andare lì di suo spontanea volontà, ma nessuno le aveva dato ascolto in quei tre giorni infiniti in cui l'avevano picchiata, chiedendole ripetutamente spiegazioni che lei non poteva fornire: non poteva dire la verità, Mahumut l'avrebbe trovata e tutto sarebbe stato vano. L'avevano legata, gettata in una cella e lasciata lì, quando era stato chiaro che non avrebbe parlato, imponendole di non ribellarsi.

E lei aveva obbedito: era stanca di lottare. Sapeva che l'avrebbero uccisa prima o poi e provava una sorta di piacere perverso all'idea che avrebbero distrutto il mondo in quel modo. Sapeva che aveva a che fare con degli Armati, aveva visto i loro medaglioni, ma non ne aveva mai incontrati di così violenti e fuori controllo e non capiva la loro lingua: a lei si rivolgevano in inglese, ma tra di loro parlavano un idioma sconosciuto, fatto di suoni tondeggianti e suadenti che la facevano rabbrividire; credeva fosse una lingua dell'est Europa, ma non ne era sicura.

-Ferma.- ordinò la guardia e aprì una porta di legno a doppi battenti. Calendula sbattè le ciglia, non abituata alla luce dopo aver passato due giorni chiusa nella cella buia; quando i suoi occhi si abituarono, scoprì che si trovava in una sala tonda, una specie di studio marmoreo, lucido, pulitissimo.

La sola idea di mettere piede là dentro, sporca come era, lurida e sanguinante- qualcuno doveva averla picchiata troppo forte per permettere alle ferite di rimarginarsi in tempi rapidi- la fece esitare.  La guardia perse immediatamente la pazienza e la spintonò, colpendola con l'elsa della spada sulla schiena. La giovane gemette e cadde in ginocchio, la testa bassa, le mani legate, aspettando che qualcuno la uccidesse, ponendo fine al suo dolore.





-Che cosa è questa?- chiese una voce disgustata in inglese, quella stessa voce che l'aveva accolta tre giorni prima. Calendula alzò la testa, incerta: decine di occhi erano fissi su di lei, occhi incuriositi, divertiti, disgustati. Armi di ogni sorta luccicavano attorno a lei, che dovette sbattere le ciglia più volte per mettere bene a fuoco la scena.

 Dietro una scrivania, sedeva una donna, giovane, bella, poteva avere vent'anni al massimo e indossava una Divisa nera, con alcuni coltelli fissati alla cintura. Era un'Armata, portava il loro medaglione, come tutti in quella stanza: ma perchè, allora, la trattavano come fosse una nemica? Strinse gli occhi grigio- verdi, voltandosi verso i suoi compagni.- Cosa è secondo voi?

-Una serva?- chiese ironica la voce di un ragazzo alto, più in là con gli anni, un accenno di barba bionda.-Un' inutile serva? Una nostra nuova schiava?

-Sì, questo è ovvio.-la ragazza sorrise alla volta di Calendula, che chiuse gli occhi, accecata dalla luce che riverberava senza fine in quella stanza bianca.-Ma cosa è?- si chinò, inginocchiandosi davanti a lei ed alzandole con la forza il viso livido.- Cosa sei, serva?

Prigioniero- Senza aliDove le storie prendono vita. Scoprilo ora