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La parola tofet destò Raffaele. Allora Padre Giorgio aveva ragione, quel giorno nella boscaglia, quando gli aveva parlato di quel luogo oscuro. Esisteva davvero e poteva avere un ruolo rilevante. Eppure, da tali parole Raffaele parve ottenere la conferma che il padre non sapesse della microspia, altrimenti non avrebbe rivelato informazioni così importanti a un figlio che era divenuto il suo acerrimo rivale.

"Cos'è un tofet?" chiese Lucrezia.

"Una specie di cimitero."

"E cos'ha di particolare?"

"In quel luogo vengono seppelliti i corpi delle vittime sacrificali."

La donna trasalì. "Macabro."

"Cosa c'entra il tofet in tutto questo?" volle sapere Katia.

"È complicato." tagliò corto Fausto. "Non ha alcun senso parlarne ora."

"Non ha alcun senso dici? Io penso che tu voglia tenerci all'oscuro di alcuni particolari. Siamo la tua famiglia, dovresti dirci ogni cosa."

"E lo farò, ma a tempo debito."

"Forse non ti fidi di noi?".

Fausto la guardò di sbieco. "Certo che si, che domande. Ma è solo un sospetto e prima di parlarne occorre verificare una cosa."

"Certo, come dici tu." si arrese Katia, usando un tono condiscendente.

"Non capisco." intervenne Nicholas. "Cosa otterremmo dalla visita del tofet?".

"Semplice nipote. Scopriremo chi ha protetto Samantha fino a ora. E poi lo metteremo fuori gioco."

Lucrezia, dall'altra parte, aggrottò un sopracciglio, confusa. "Non riesco a capire cosa stanno dicendo."

"Nulla di buono, purtroppo."

"Vorresti spiegarmi?".

"Credo abbiamo scoperto la verità."

La donna sbiancò. "Cioè pensi che sappiano di Maria..."

"Temo sia così." rispose Raffaele con voce tesa.

"Ma come è possibile che sappiano?"

"Chissà. Forse è successo in passato che una delle vittime sia tornata sotto forma di Angelo della Morte e se ciò corrisponde al vero, sanno come sconfiggerlo."

"Ma hanno sempre detto di non avere mai avuto complicazioni di questo genere."

"Allora non so davvero spiegarmi il motivo dei loro sospetti."

"Raffaele." affermò la voce di Katia all'apparecchio e il giovane operaio sobbalzò, quasi la zia l'avesse chiamato, sapendo di essere ascoltata. "Forse si tratta di Raffaele."

Fausto sbuffò. "Ancora con questa storia?!".

"Pensaci. Ha sempre ficcato in naso dove non doveva. E' l'unico attorno a noi che può aver cercato di sabotarci."

"Ciò non vuol dire che sia il colpevole. Senza contare che Raffaele è sempre stato un vigliacco, non avrebbe mai potuto uccidere qualcuno. No, l'assassino di Patrizio non è lui."

"Uccidiamolo lo stesso. Ci eviterà ulteriori problemi."

Raffaele, all'altro capo, impallidì.

"No." sentenziò il capofamiglia. "Discorso chiuso."

"Non è corretto." protestò la sorella. "Lo proteggi solo perché è tuo figlio!".

"Fidati, per quanto mi riguarda può anche morire quel piccolo bastardo. Però non dobbiamo attirare l'attenzione della Polizia, non in questo momento delicato."

Per Raffaele, quelle parole furono una freccia nel cuore. Aveva appena sentito con le sue orecchie ciò che suo padre provava per lui. Lucrezia gli toccò la mano. Raffaele accettò il conforto ma le rivolse un sorriso finto, assicurandole con voce flebile che andava tutto bene. Doveva essere forte, tenere per sé tutto quello schifo, fino a quando avrebbe potuto sfogare tutta la propria rabbia repressa. Ma non ora.

"Dove si trova il cimitero?" chiese Nicholas. Il silenzio invase il collegamento. Raffaele pensò che avessero notato la microspia sotto il tavolo e stessero comunicando per gesti, intimandosi di non dire oltre.

"A Bormio." disse invece Fausto. "Si è sempre trovato lì."

"E perché proprio a Bormio?".

"Occorreva un posto non troppo lontano ma nemmeno così vicino da rischiare di farci scoprire, anche se il tofet è ben nascosto."

Fausto spiegò per filo e per segno la via e la zona dove era stato edificato e Raffaele segnò tutti i dati sul proprio cellulare. Lucrezia lo lasciò fare, convincendosi per la prima volta che quel piano non fosse stato così avventato.

"Domani ci recheremo al cimitero." li informò Fausto. "E sapremo se avremo una possibilità di risalire al responsabile."

"Spero davvero tu abbia ragione." disse Katia. "Altrimenti siamo perduti."

Raffaele guardò la propria convivente e le prese la mano, come lei aveva fatto poco prima. Per lui era molto importante averla vicina. Avrebbe voluto porle tante domande, cercando di capire cosa pensasse, che cosa desiderasse, ma non era il momento. O, semplicemente, temeva che non avrebbe ricevuto le risposte che sperava.

"Troviamoci domani alla stessa ora." concluse il capofamiglia.

"Va bene." confermò Nicholas.

"Siamo rimasti solo noi. La nostra famiglia è stata completamente distrutta. Dobbiamo restare uniti più che mai."

Poi, non si udì più nulla, tranne un debole rumore di passi che lasciava presagire che la conversazione fosse finita e ognuno stesse tornando al proprio lido. Raffaele attese ancora qualche minuto, per scrupolo poi, convintosi che il salotto fosse deserto, spense il collegamento e tolse le cuffie. Lucrezia fece lo stesso.

"Ora spiegami meglio che cosa intendo fare quei pazzi." affermò Lucrezia.

"Semplice. Vogliono recarsi al tofet per assicurarsi che tutto sia a posto. Nella specie, se manchi qualcosa... o qualcuno."

"Eppure non capisco. Che senso ha edificare un cimitero per seppellire le vittime dei loro crimini. Per loro costituisce un pericolo. Non dovrebbero eliminare ogni traccia?".

"Non è così semplice." le disse Raffaele. "Da come ho capito, seppellirli in un luogo sacro è necessario alla tradizione."

"Per quale motivo?".

"Perché le vittime sono state sacrificate per uno scopo a loro dire importante e per questo motivo devono essere onorate."

"Perché hanno nutrito il loro idolo."

"Già."

"Non c'è nulla di onorevole in tutto ciò." protestò la donna. "È semplicemente orribile."

"Dobbiamo agire in fretta." - affermò Raffaele, alzandosi e prendendo il proprio cellulare. Poi indossò la giacchetta si avviò versò l'ingresso.

"Dove vai?".

"Domani andranno al tofet. Quindi abbiamo poco tempo. Chiamo Giorgio e ci metteremo subito in viaggio."

"Andrete al cimitero."

"Già." confermò il giovane operaio, aprendo la porta. "Dobbiamo batterli sul tempo."

"E se fosse una trappola?" ipotizzò la donna, al contempo avvicinandosi, quasi volesse sbarrargli l'uscita.

"Ci hanno rivelato troppe informazioni. Mi sembra improbabile che sapessero della nostra intercettazione."

"Stai attento comunque."

Raffaele la guardò, poi annuì, senza dire una parola. Dopodiché uscì di casa e chiamò Padre Giorgio.

OmbreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora