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Ancora con il cuore in subbuglio, Raffaele parcheggiò rapidamente, senza badare troppo alla pulizia della manovra e si fermò nel mezzo di uno spiazzo di cemento. Non sapeva se poteva scaricare lì il proprio mezzo, ma non gli importava. La ferita, secondo dopo secondo, faceva sempre più male. Lungo il tragitto aveva preso un fazzoletto di stoffa e se l'era legato lungo la spalla, per tentare di bloccare il copioso fiume di sangue che gli aveva impiastricciato vestiti e mani. Eppure, sapeva che non sarebbe potuto tornare a casa in quelle condizioni.

Lucrezia, vedendolo in tale stato, si sarebbe allarmata e lo stesso valeva per Samantha, alla quale non poteva regalare l'ennesimo shock di quelle ultime settimane. Per cui prese il cellulare e scrisse alla coinquilina un breve messaggio in cui la rassicurava sul fatto che tutto fosse andato per il verso giusto. Ho mentito a fin di bene, si disse il giovane operaio. Le racconterò ogni dettaglio più tardi.

Con il telefono in mano provò a comporre il numero, ma le dita sulla tastiera erano animate da un fastidioso tremolio. Non sapeva se ciò fosse stato indotto dal gelo notturno o dal forte dolore che lo stava torturando, ma sbagliò a digitare il numero e una forte rabbia lo pervase. Cercò di darsi una calmata e schiacciò nuovamente i tasti, cercando di agire lentamente. Ciò che stava per fare era inevitabile. Non poteva assolutamente permettersi di finire nei guai, cosa che avrebbe bloccato la sua libertà di movimento. Gli occorreva campo libero per la prossima mossa. Quando la chiamata partì, appoggiò il cellulare all'orecchio, preoccupato per ciò che stava per dire.

"Stazione di Polizia." rispose una voce maschile.

"Sono Raffaele Pozzo, sono stato ultimamente in Centrale per le recenti vicende della mia famiglia."

Il poliziotto rimase in silenzio qualche istante, forse per fare mente locale. "Certo, lei è l'amico dell'ispettore Tempo."

"Esatto. Vi ho chiamato per denunciare l'ennesimo omicidio."

"Si spieghi meglio."

Raffaele si accorse di parlare troppo veloce. Sospirò e riprese. "Mi trovavo a Tirano con Luca Cera, marito di Katia Pozzo e una raffica di proiettili lo ha ucciso. Poi l'assassino ha cercato di uccidere anche me. Lo so che sarei dovuto restare nei paraggi e chiamarvi subito, ma temevo per la mia incolumità. Sono fuggito ho chiamato appena mi sono sentito al sicuro."

"Ora dove si trova?" domandò l'agente, senza porre ulteriori questioni.

"Mi trovo a Tovo di Sant'Agata, in via San Marco 1b".

Il poliziotto, il quale era apparso calmo ma sospettoso per tutto il corso della chiamata, disse che avrebbe mandato due detective nel luogo indicatogli, intimandogli di rimanere a disposizione per le deposizioni e quant'altro potesse far luce su ciò che era accaduto quella notte. Raffaele era ben conscio che essere per così tante volte al centro di fatti di cronaca nera non giocava a suo favore e per quanto ne sapeva poteva trovarsi nella segreta lista dei sospettati.

Eppure, era stato più che sincero.

Aveva indicato le proprie generalità, oltre al luogo in cui si era rifugio per sfuggire al pazzo che aveva tentato di fargli la pelle. Tuttavia, si sarebbe preoccupato dopo dell'interrogatorio che presumeva avrebbe subito. Ora doveva solo pensare a sé stesso e alla ferita che doleva e bruciava in modo insopportabile. Suonò il citofono dell'abitazione di fronte e poco dopo, la voce stanca di Padre Giorgio echeggiò all'apparecchio.

"Chi è?" esclamò l'uomo, palesemente irritato per la tarda ora.

"Sono Raffaele."rispose il giovane, con la voce strozzata.

"Raffaele?!".

"Apri, per favore, mi serve aiuto."

"Che è successo?".

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