* Un'imperiale afflizione *

93 8 8
                                    

Yoongi Pov

Finalmente la cena era finita, parlare con dei coglioni che non capivano niente di come si governava un'organizzazione, era pesante ma necessario. Questo mi aveva insegnato mio padre, facendomi capire la differenza tra il piacere e il dovere imposto, quella cena era un supplizio imposto. Una volta arrivato davanti casa mia, capii che c'era qualcosa che non andava; i miei uomini era in subbuglio. Cercai di scendere mentre ancora la macchina era in movimento ma quella scimmia mi bloccò: - Signore dobbiamo accertarci che non ci sia nessuna minaccia. - lo spinsi talmente forte da fargli sbattere la schiena sul sedile della macchina. - Togliti dai coglioni. - sputai. Scesi dalla macchina impugnando la mia fedele compagna, la mia unica preoccupazione era Hansung. Dove cazzo era Jimin? Perché c'erano cadaveri nel mio giardino? L'adrenalina cominciò a pomparmi nel cervello, offuscando ogni ragionevole dubbio che la mente mi stava ponendo davanti. In casa era anche peggio di fuori, andai dritto verso la sua camera e le mie paure più fottute mi colpirono così forte che mi mancò il respiro. La stanza era vuota, un lenzuolo sgualcito per terra, qualche goccia di sangue segno che aveva lottato prima di essere preso. La mia impugnatura ebbe un fremito, quasi come a non riuscire a reggere quella pistola leggera. - Lo hanno preso. - sussurrai e due mani forti e possenti mi bloccarono dall'andare incontro alla morte certa. - La prego si calmi. - riuscii a sentire. Ogni rumore era ovattato, a malapena, riuscivo a sentire il mio stesso respiro. - Spostati o ti ammazzo. - per un istante, capii cosa Jimin aveva provato. Il perché fosse corso da lui mettendosi in mezzo a due fazioni armate e in netto vantaggio. Ci eravamo fatti fregare e forse lui più di tutti. Ma dov'era? Perché non era in casa a proteggere quello che mi apparteneva? La rabbia, già di per sé fuori controllo, prese il totale potere dei miei sensi. Volevo sangue anche se fosse stato quello di Jimin, avrei sparso fiumi interi di sangue pur di riavere Hansung nella mia vita.

Jimin Pov

Mezzanotte, mezzanotte e un quarto, mezzanotte e mezza. L'una meno venti, l'una spaccate. Era passata un'ora dall'appuntamento ma di Jungkook nessuna traccia. Che gli fosse successo qualcosa? Che il rientro aveva portato ad un differente risultato? Scossi la stessa serrando la mascella, era successo qualcosa oppure non era più valido quello che ci eravamo detti. Quelle maledettissime immagini di lui con quell'altro continuavano a passare indisturbate nella mia testa, quasi a volermi dare una risposta che non volevo sentire. Salii in macchina pronto a dirigermi nel territorio degli Shadow ma, quando il segnale fu di nuovo disponibile, il nome sul display mi fece pensare anche il peggio. - Ne. - avevo il respiro affannato, mi tremavano i muscoli. La mente in subbuglio e il cuore in bilico tra la rottura o qualcosa di ancora peggio. - Devi tornare immediatamente capo. Hanno preso Hansung. - la macchina andava da sé abituata a fare quella strada ogni maledettissima volta. Ma prima di arrivare a conclusioni affrettate e distruggere il mio intero mondo, dovevo avere la certezza che i miei pensieri erano reali. Yoo teneva stretto a sé un Yoongi fuori di testa: l'avevo visto incazzato ma mai in quel modo e sapevo che la sua frustrazione l'avrebbe sfogata su qualcuno e quel qualcuno ero io. - Lascialo. - preferivo essere io a sopportare le sue mani che quegli inetti incapaci di proteggere pure se stessi. Cademmo a terra, sembrava una tigre inferocita: - Dove cazzo l'hai portato? - mi urlò addosso. Cercavo un modo per farlo ragione mentre le sue mani graffiavano, colpivano, strappavano. Quando Gong Yoo lo alzò togliendomelo di dosso, ed io mi alzai barcollando: - Adesso ti calmi o devo addormentarti? - pulii la bocca, strofinando le mani sulla maglia. - Lo devi andare a riprendere! - urlò nuovamente ma feci no con la testa. - Si aspetteranno il nostro arrivo. Se andiamo adesso sarà una carneficina! -

- Ha ragione signore, dobbiamo preparare un piano. - Gong era dalla mia parte, più preoccupato a proteggere il suo capo che riavere il ragazzo indietro. Feci in modo che Yoo si occupasse di mio fratello e, raggiungendo la mia stanza, guardai le riprese delle telecamere. Di nuovo Jungkook con quella testa di cazzo, che cosa erano? Perché Jungkook camminava con lui quando sapevo che, per la maggior parte del tempo, preferiva fare le sue missioni da solo? La chat con Seokjin, le sue insinuazioni, il filmato, le mie riprese; mi parve che la terra si aprisse sotto i miei piedi. Sentivo chiamare il mio nome dal Dio degli Inferi, pronto ad avere accanto a se la mia anima. Quell'unico interruttore che avevo deciso di alzare solo ed esclusivamente per lui, fu abbassato nuovamente. Niente, c'era il niente assoluto dentro di me e mi parve per un istante di sentire di nuovo il vecchio Jimin. Cominciai a fare ricerche su ricerche; analizzai ogni scartoffia, documenti, lettere. Qualsiasi cosa mi portasse là dove avevo visto oltre, qualcosa che mi facesse cancellare quella sensazione di perdita che non aveva cessato di esistere anche a cuore spento.

Perché era questo quello che feci, spegnere il motore che mi tirava avanti; sostituendolo con qualcosa di artificiale. Il Jimin arrendevole, che si lasciava sopraffare dai sentimenti; lo stesso coglione che diceva Ti amo al primo che capitava. Non era il primo. Cercai di zittire anche lei ma non era facile venire a patti con la propria coscienza. Ti ha tradito e allora? Non sarà stato l'unico. - Sta zitta! - urlai in quella camera semibuia. La sua faccia riprodotta in tutti gli schermi, il mio desiderio di ucciderlo e di abbracciarlo posti sullo stesso ripiano. Fortunatamente o sfortunatamente, un bip attirò la mia attenzione; i risultati prodotti dal DNA non lasciavano scampo. Così come la crittografia di quell'unica cartella coperta da un codice algoritmico alquanto squallido. Avevo il mio piano, due vecchi coglioni e una puttana succhia cazzi mi avevano dato un piano quando ancora non sapevo usare bene la pistola. Presi le gemelle uscendo dalla stanza: - Raduna tutti in giardino. - ordinai alla sagoma davanti la porta. In meno di cinque minuti quelli rimasti ancora vivi, erano messi in fila uno accanto all'altro. - Cosa non mi vi è chiaro della parola protezione? - era una domanda retorica e nessuno osò rispondere. - Erano in due! Due bastardi sono riusciti ad entrare e a portarsi dietro pure un'altra persona. - camminavo avanti e indietro. Sfioravo le bambine che sentivo fremere, pronte a ruggire per mano mia. - Ma sign... - un colpo dritto alla tempia. Il terrore nei loro occhi mi diede piacere, cominciando a saziare la parte più oscura di me.

Sputai il sangue che sentivo in bocca per via dei pugni di Yoongi: - Lo capisco, la colpa è mia. Non sono stato abbastanza bravo nell'insegnarvi come ci si deve comportare. - quella feccia era la rimanenza della squadra di quel vecchio idiota. Mi chiesi come avesse fatto a restare vivo così a lungo. - Signore. - altra pallottola sprecata. Mi ritrovai a sorridere, constatando la piacevole sensazione di premere il grilletto; di vedere la vita spegnersi nei loro occhi. - Jimin. - non sparai ma una delle bambine era puntata proprio davanti il suo viso. - Cosa c'è. - Yoo non si mosse. - Non qui. Ha bisogno di te. - serrai la mascella. Feci schioccare le ossa del collo e abbassai l'arma: - Togli questa merda dalla circolazione. Voglio il peggio. - nonostante non sembrasse, Yoo prendeva ordini anche da me. Scavalcando uno dei due corpi per rientrare in casa, sentii di nuovo la voce di Yoo chiamare il mio nome. - Signor Park, provi a mettersi nei suoi panni. Avrebbe fatto lo stesso. - e detto questo andò via. Deglutii, a forza di stringere i denti mi sarebbe venuto il dolore alla mandibola, forse era anche meglio, mi sarei focalizzato su un altro tipo di dolore. Entrai nella sua stanza, la finestra aperta permetteva alla grande luna di illuminare l'interno. Nemmeno quando era morto suo padre avevo visto Yoongi rannicchiato in quel modo; salii cavalcioni sul letto abbracciando con le gambe e con le braccia quel piccolo corpo tremante. Non ci fu bisogno di guardarlo in viso per capire che stesse piangendo. Contrariamente a quello che avevo pensato: di essere in grado di non provare emozione, di poter spegnere quel piccolo interruttore dentro di me; nel silenzio complice di quella stanza, seguii il mio fratellone. Era un dolore strano il mio, era come se stessi morendo di qualcosa che, forse, non avrei vissuto mai.

𝐵𝓁𝒶𝒸𝓀 𝒮𝒽𝒶𝒹𝑜𝓌  *𝒥 𝒥𝒦. & 𝒫.𝒥𝓜*Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora