L'abisso [1]

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Jocelyn raggiunse il bagno dorato della sua stanza e chiuse con un colpo secco la porta alle sue spalle. Tra un singhiozzo e l'altro, rigirò la chiave nella serratura, poi si sfilò i tacchi e li lasciò in un angolo della stanza ed infine fece scivolare la schiena contro la porta, andando lentamente a finire seduta sul suolo. Tolse la mano dalla serratura e si strinse la chiave al viso, con le mani strette a pugno e richiuse sui capelli, che tirò leggermente. Le guance vennero solcate da più lacrime quando la giovane esplose in un pianto disperato, privo di qualsiasi gioia. Spostò il palmo, trattenendo un piccolo urlo e coprendo le labbra con le dita. Piegò la testa verso dietro e lasciò che i capelli profumati e ben lavati le ricadessero sulle spalle.

"Se prima mi restava solo poco tempo da trascorrere in compagnia dei Branchi", pensò delusa, "Adesso non ne ho affatto. Al termine di questa settimana andrò in sposa a Galtur e la mia vita avrà fine quel giorno". Si pentì di qualsiasi azione compiuta nei due anni precedenti e degli atti che l'avevano trasportata in quel castello. "Non vedrò mai più i miei genitori e Britney. Dovrò dire addio a Dream, Aireen, Cyrer, Alois, Silas, Dervyne, Denirah... a Jason". Raggiunse il culmine dello sfogo e tirò le ginocchia al petto, chiudendosi su se stessa.

Non poteva immaginare una vita da prigioniera. Non si era mai lamentata di nulla, ma aveva assolutamente bisogno di sentirsi libera. Voleva fuggire, tornare al Branco, poi in città, a casa sua. Voleva dormire nel suo morbido letto e rivedere Serena a scuola. Ma la verità era dura da digerire: lei era un licantropo, apparteneva al Branco Lunapiena e aveva il potere dell'Anima di Lupo. Era un pericolo per la sua famiglia e per qualunque altro umano, non poteva tornare a scuola e la sua migliore amica, Serena, era morta, uccisa dall'ultimo Zanna Rossa, alleato del Clan delle Ossa Rotte del Regno Carminio, il quale Re, Galtur, sarebbe diventato il marito di Joy. Ripensare a tutto questo la feriva in modo sovrumano, soprattutto dal momento in cui il tempo si era stretto e trascorreva all'apparenza molto più velocemente.

Tre colpi di nocche si abbatterono sulla porta. «Jocelyn, esci di lì. Possiamo parlarne, lo sai. Discuterò personalmente con Galtur, lo convincerò a ritardare le nozze», promise Dream, che finalmente aveva raggiunto la sua allieva nella loro camera.

Joy si strinse le mani alla gola e non rispose. L'Alpha non demorse.

«Ti prego, apri questa porta. Andrà tutto bene, te lo giuro. Se non vorrà stare ai miei termini gli dichiarerò guerra».

«No!», gridò allora la ragazza. Balzò in piedi e si specchiò, di fronte al lavandino. Aveva pesanti occhiaie olivastre sotto gli occhi e i capelli ormai disordinati. Si vide molto più magra del normale e deglutì. Non avrebbe mai permesso che una guerra scoppiasse a causa sua, com'era già accaduto due anni prima, e di sicuro in uno scontro i Lunapiena non ne sarebbero usciti vincitori. Il Clan delle Ossa Rotte contava migliaia di guerrieri in più di quelli dell'umile Branco, che sarebbe stato sterminato una volta per tutte. Troppa morte, troppa sofferenza. Troppo da sopportare.

«Allora, per favore, apri la porta e discutiamone. Non riesco a vederti in questo stato», continuò la leader. Sembrò sospirare, ma il suono venne smorzato dal legno del divisore.

Jocelyn non aveva comunque nessuna intenzione di mostrarsi a qualcuno in quello stato. Era sempre stata gentile ed educata, ma aveva anche una buona dose d'orgoglio che mai e poi mai avrebbe sprecato. Si avvicinò alla vasca tentando di conservare la sua dignità e lottando contro i singhiozzi.

«Vai pure a dormire, mia Alpha. Io sto bene, ho solo bisogno di un momento di solitudine per rimuginare su quello che è accaduto», la rasserenò. Finse persino un sorriso, convinta che la vista acuta della donna arrivasse a lei attraverso il buco della serratura. Con una mano alzò la leva dell'acqua, che riempì la vasca e sprigionò un calore piacevole. Il vapore appannò i vetri in poco tempo. La finestra e lo specchio erano opachi come muri. Ci fu qualche attimo di silenzio, interrotto solo dallo scrosciare dell'acqua e dall'ululato del vento oltre le pareti. Quella sera l'aria aveva sprigionato una forza innaturale e la sua furia si abbatteva contro il castello, unico luogo sicuro. Le case oltre il barbacane della fortezza venivano colpite dal vento impetuoso e scricchiolavano rumorosamente.

Nessun altro rumore era percepibile dall'interno del piccolo bagno dorato. Jocelyn pensò che Dream se ne fosse andata, quando udì uno scricchiolio. La porta cigolò sinistramente, e dei passi pesanti di scarpe con tacco rimbombarono tra le sottili pareti. L'Alpha non disse altro e si ritirò fino al suo letto.

Joy attese prudente, seduta sul bordo della vasca, ormai piena. Chiuse il rubinetto dell'acqua e si alzò. Raggiunse lo specchio, ma il suo riflesso era composto da sfocate macchie colorate, che parevano appartenere ad un altro mondo. Con le dita raggiunse i lacci che, sulla sua schiena, si intrecciavano per sostenere il corpetto e li sfilò. L'abito scivolò rapido ai suoi piedi e lei usò i piedi per spingerlo verso un angolo del bagno. Priva dei suoi indumenti non sentì alcun brivido gelido, nella stanza aleggiava un soffice tepore confortante. Jocelyn si tolse anche le scarpe e, quando poggiò la pianta del primo piede al suolo, provò una sensazione di sollievo infinita. I vestiti creati dagli stilisti del Regno Carminio erano sfarzosi, eleganti e regali, ma fin troppo stretti e scomodi, con tacchi molto alti ai quali era difficile abituarsi.

La ragazza aveva versato un prodotto contenuto in una boccetta di vetro nell'acqua, quando ancora la vasca doveva riempirsi, e adesso la superficie era coperta ed increspata da un velo candido di cumuli di schiuma. S'immerse nell'acqua quasi d'un fiato, timorosa di scottarsi ma troppo stanca per aspettare che il suo corpo si abituasse alla temperatura elevata del fluido. La tinozza era principesca, molto allungata e terminava con un filamento color oro che si ripiegava su se stesso come la punta di una nave drakkar. La parte dello schienale era più rialzata e ondulata e agli estremi ne crescevano due grandi corna ricurve da ariete, come sempre simbolo della forza dei demoni. Nauseata dall'emblema, Joy immerse il capo sott'acqua e fece forza sui palmi per non riaffiorare. I capelli le si inumidirono e fluttuarono senza peso ai lati delle sue guance. Soffiò aria dalle narici e piccole bolle raggiunsero il pelo dell'acqua e scoppiarono.

Lentamente, in modo delicato e cauto, aprì gli occhi. Il colore ambrato delle iridi scintillò come il riflesso delle luci della stanza e anche le labbra si schiusero. Era andata a finire in un modo onirico diverso dal normale, una profonda riflessione psichica... o una visione.

Delle dita tozze distrussero la superficie limpida. Erano sporche di fango, terra e sangue e sporcarono l'acqua. Sembravano offrire aiuto, ma Jocelyn non aveva paura di annegare. Era sana e salva, in pace con se stessa per la prima volta dopo tanto tempo. Infatti, le mani non avevano alcuna intenzione di sottrarla dall'abisso. La vasca parve estendersi all'infinito e si fece più profonda. Il cielo divenne lontano, i polmoni si svuotarono e i muscoli si contrassero. Joy sentì l'aria mancare e le forze venirle meno. Le dita si strinsero attorno al suo collo e pressarono con una tale foga da darle l'impressione di averle rotto le ossa. Allora, non sapendo che fare e percependo la sensazione di cadere sempre più a fondo nell'infinita distesa acquatica, mosse le mani, graffiò le braccia rivali, provò ad urlare. A corto di respiro, le sue parole divennero piccoli stridii che si persero nel vuoto. La sua voce non avrebbe mai raggiunto il vento, non si sarebbe mai diffusa e nessuno l'avrebbe aiutata. Le mani la spinsero ancor di più ed un volto si tuffò nella vasca, o quel che era diventata. La faccia corrotta dalla rabbia e dall'ambizione le sorrise malevola e, in quei sottili occhi da predatore, la ragazza riconobbe i lineamenti di Hope.

Joy riemerse dalla tinozza e prese un lungo respiro. L'acqua schizzò ovunque, finendo sul pavimento, sui muri e sullo specchio. La schiuma era svanita e l'acqua non era più tepida né trasparente, ma fredda e dal colore grigio mescolato al dorato del fondo. La giovane credette di essersi addormentata durante il momento di relax e difatti tossì per espellere il liquido accidentalmente inalato.

Si mise in piedi in fretta e afferrò una vestaglia, per poi indossare il pigiama - anch'esso fornito dai camerieri - e asciugarsi rapidamente i capelli con una tovaglia da mani.

Scivolò nel suo letto facendo attenzione a non svegliare Dream, talmente assonnata che si era addormentata con ancora indosso il vestito elegante. Jocelyn pensò di coprirla con le lenzuola, ma non volle rischiare di disturbarla. Tirò su le coperte fino a fargli raggiungere l'altezza del naso e abbassò il cuscino, spostandosi su un fianco. Sentiva le membra dolerle per la stanchezza e si rivolse verso la finestra scura con un mugolio infastidito. Quella era stata la sera più fredda lì nel Regno, dal giorno in cui era arrivata. Si rannicchiò con le braccia congiunte e le ginocchia piegate, cercando di scorgere nel cielo la luna brillante che aveva avuto occasione di osservare la precedente estate. Ricordò amaramente che lì, in quel posto buio e nuovo, la luna non era che un nome senza forma, sconosciuto alla maggior parte degli abitanti.

Allora, cullata solo dal crepitare delle fiamme nel piccolo camino acceso, finì tra le braccia di Morfeo mentre un'ultima lacrima le rigava il viso.

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