L'abisso [2]

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Lontano dalle camere degli ospiti lycan, i corridoi erano ancora illuminati dalle torce. Il fuoco scoppiettava sui coni appesi al muro con calma spettrale, disperdendosi verso l'altro e riempiendo le mura di uno strano odore di fumo.

Hope camminava a testa alta, come al solito, in simbolo di spregio contro chiunque la incontrasse. Sapeva di non doversi trovare lì, specialmente a quell'ora, ma i suoi affari non potevano aspettare. Il piano non si sarebbe elaborato da solo e la consapevolezza di ciò la spinse a recarsi fino alle stanze del Re in persona. Non le importava nulla degli ostacoli che avrebbe potuto incontrare, non la preoccupavano affatto. Semplicemente, passo dopo passo, avanzava in direzione delle guardie poste davanti alla porta. Bulbar non era tra di loro, come invece Hope aveva immaginato. A suo parere, avrebbe trovato il grasso e goffo demone appisolato su una delle alte sedie che costellavano la parte del corridoio antecedente alla stanza regale. Si aspettava anche che le guardie la riconoscessero e la facessero passare, ma la loro prima reazione fu quella di andarle incontro.

La Beta si preparò a far svolazzare i capelli con una delle mani mentre i soldati si esibivano in un decoroso inchino in suo onore, ma tutte le sue fantasie vennero infrante quando si ritrovò tre punte di lancia di fronte al viso.

«Torna indietro, lycan. Non sai che non hai accesso a questa zona del castello? Dirigiti alle tue stanze e non farti più vedere», osò una delle guardie. Era un uomo, alto almeno il doppio di Hope, ma non la intimidì affatto.

«Se fossi uno dei miei lycan ti avrei già fatto frustare», minacciò. Con una delle mani afferrò la punta della prima lancia e la spinse di lato, finendo solo per peggiorare la situazione.

La guardia si sentì minacciata e fece in modo che la lama dell'arma si posasse sulla gola della Beta. «Davvero un peccato che io non lo sia».

Erano rare le volte in cui Hope si sentiva minacciata, ma con l'acciaio che scavava pian piano nella sua pelle capì di non dover alzare troppo la cresta. «Il Re mi sta aspettando, fatevi da parte o ve la vedrete con lui», tentò di nuovo, ma neanche allora i soldati si spostarono.

Lo stesso demone che aveva parlato prima e si trovava al centro del gruppo sghignazzò come una iena e scambiò sguardi divertiti con gli altri. «Abbiamo il permesso di uccidere chiunque voglia interferire con le intenzioni di Sua Maestà e questo mi sembra un buon pretesto per far fuori anche uno solo di voi grossi cani maleodoranti».

Una seconda guardia gli fece eco. «Lo spiegherai tu agli Alpha», mormorò sarcastico. Tutti i guerrieri sollevarono le lance e Hope si preparò a tramutarsi e sbranarli, vogliosa di spolpare le loro ossa e fargli capire chi tra loro era davvero la più forte. Sentì le ossa del viso spostarsi e allungarsi lentamente, così come quelle degli arti, mentre la colonna vertebrale s'incurvava.

Poi, la porta al termine del corridoio si aprì e sbatté contro il muro. L'aria spostata fu talmente veloce da diventare un alito di vento e spegnere le quattro torce più vicine alla camera.

Galtur era sulla porta, coperto solo da un paio di pantaloni da notte, lunghi fino ai piedi scalzi. I capelli erano arruffati e si attorcigliavano tra le corna a spirale, più scuri del solito. Evidentemente il sovrano si era addormentato da molto tempo.

«Cos'è questo baccano?», domandò irritato.

Le guardie scattarono sull'attenti, drizzando le lance. Il capo del gruppo si sistemò davanti agli altri, mentre Hope faceva un passo indietro e si portava le mani alla gola, massaggiando la zona scalfita.

«Maestà, questa lycan esige di vedervi. Le stavamo solo ricordando di non avere il permesso di trovarsi qui e di-».

«Finiscila», tagliò corto Galtur, sbadigliando. «È mia ospite, falla passare», comandò. Le guardie ne restarono sorprese, immobili e incredule. «Devo ripetertelo?», continuò il monarca, stufo della loro disobbedienza.

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