La memoria [4]

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"Dervyne, il soldato Lunapiena", pensò varie volte Jocelyn mentre passeggiava nei viali illuminati del campo, beandosi dell'aria fredda che soffiava tra i suoi capelli sciolti.

Da quando la pace era tornata a regnare sui domini dei lycan, la sua vita sembrava essersi tramutata nel lieto fine di una tragica favola, alla quale però non riusciva ad attribuire una morale.

Se non altro, però, Dervyne era rimasto con lei. O meglio, era rimasto per lei.

Joy non sapeva se il suo fosse semplice affetto o qualcosa di ancor più grande che non poteva essere corrisposto, ma decise di non domandarselo.

Vyn era rimasto ed era divenuto un Lunapiena, e questo la rendeva infinitamente felice.

Sperava che, però, quella non fosse l'unica buona notizia della serata. Jason l'aveva invitata al lago proprio a mezzanotte, in modo che potessero incontrarsi al chiaro di luna per parlare. Di cosa? Jocelyn aveva un'idea o due a riguardo.

Immersa nella tenue luce bianca della notte, camminò fino al lago, il loro tipico posto di ritrovo. Sperò di non essere in ritardo, né troppo in anticipo, poiché non indossava da anni un orologio al polso che potesse rivelarle l'ora, ma per fortuna era stata puntuale.

Un leggero formicolio allo stomaco l'aveva accompagnata per tutto il viaggio, causata da un'ansia sottile ma percepibile. Sapeva di dover dare una risposta a Jason. Sì, oppure no. Non le restava che decidere, ma tentare di riflettere in quello stato le risultò impossibile.

«Ho visto Dervyne tornare alla sala della mensa dopo che me ne sono andato», mormorò una voce curiosa alle sue spalle. Era quella del suo amico mago, che negli anni si era trasformata nella voce di un giovane uomo. «Aveva dimenticato qualcosa?».

Jocelyn non si voltò, anche se sapeva perfettamente che J si trovava dietro di lei, appoggiato alla corteccia di uno degli alberi che costellavano il lago limpido e smosso dalla brezza.

«Ha deciso di restare. Adesso è un Lunapiena, proprio come noi», non poté evitare di sorridere.

Jason si dilettò in una piccola risata.

«Quel tipo è pazzo di te», le fece notare con un tono neutro, che non lasciava spazio alla gelosia.

Joy si morse le labbra per qualche secondo.

«Ed è l'unico ad esserlo?», chiese dopo aver raccolto tutto il coraggio residuo nel suo corpo.

«No», sentenziò lui con voce decisa. Mosse qualche passo verso di lei, fermandosi ad un metro di distanza dalla sua schiena.

Joy avvertì il rumore del suo movimento e il suo cuore cominciò a palpitare più velocemente.

«Allora... ne sei sicuro?», formulò una domanda con le prime ed uniche parole che le vennero in mente.

Il maghetto restò in silenzio per qualche attimo.

«Sì. Credo che, nel profondo, ne sia sempre stato sicuro. Avevo solo bisogno di capire cosa provassi tu, invece».

Era il momento. Jocelyn lo capì al volo. Nell'attimo in cui avrebbe voluto riflettere velocemente per trovare una risposta ideale, o una qualsiasi scusa per rifiutarlo, il suo cervello parve spegnersi come se fosse andato in cortocircuito, tra scintille e rumori meccanici. Era il suo cuore a ragionare, una volta per tutte.

«Ho dovuto sempre mettere il bene degli altri al posto del mio. Ti ho tenuto lontano perché temevo di metterti in pericolo. Non riuscivo a sopportarlo...», parlò impulsivamente.

Fece un mezzo giro e si ritrovò faccia a faccia con lui. I suoi occhi verdi brillavano come smeraldi luminosi nell'oscurità. Nel loro riflesso Joy trovò la sincerità dei pensieri del ragazzo a cui appartenevano, e capì di provare davvero qualcosa per lui.

«Non sopporterei di restare ancora tanto lontana da te. Non lasciarmi mai, ti prego».

«Ho fatto una promessa. Io mantengo sempre le mie promesse!», sorrise Jason.

Joy si sentì avvampare dopo aver osservato per qualche secondo le sue labbra e abbassò lo sguardo sui suoi stivali, di colpo molto interessanti.

J si avvicinò ancora e le accarezzò una guancia con la mano destra.

«Dicevo la verità quando ti ho parlato, giorni fa. Tu sei la mia tempesta», sussurrò appena.

Jocelyn riuscì ad alzare lo sguardo.

«Le tempeste portano solo distruzione e morte», gli ricordò, seppur con poca convinzione.

«Non fare la drammatica!», si lamentò Jason, scherzoso. «Magari alcune sono anche... utili alla natura. O che ne so!», riflesse grattandosi il mento con una mano. «Comunque nessuno di noi due è qui per parlare di clima, o sbaglio?».

«Sono qui per parlare, come mi hai chiesto tu», balbettò appena la ragazza, «Parlare... di noi due».

Jason stesso sembrò arrossire. Il suo viso si trasformò per un attimo in quello del timido ragazzo occhialuto e lentigginoso di due anni prima, quello del giorno del loro primo incontro alla scuola delle reclute.

«Sì, è così. Beh, non sono bravo con le parole, a meno che non si tratti di formule magiche, è chiaro. Ho lasciato che fossero i miei gesti ad esprimere tutto ciò che provo», si spiegò con fare impacciato, «Ma ora ho bisogno di sapere... io ti piaccio, Joy?», domandò finalmente.

Piacere. Questo verbo non era mai andato a genio a Jocelyn. Avere una cotta, magari, sarebbe stato un termine più appropriato.

«No, Jason. Mi piace combattere, passare del tempo con Alois e allenarmi con Dream. Alle persone piacciono tante cose, tante persone», si spiegò, sperando di non risultare troppo pignola. «Ti accontenteresti mai di essere uno dei tanti? Io non credo. Quindi, sarò diretta, Jason. Tu non mi piaci e basta. Io... credo semplicemente di amarti».

Jason sorrise.

«Ed io amo te, Anima di Lupo. Prometto che ti sarò sempre vicina e ti proteggerò da ogni rischio, anche se tu dovessi smettere di amarmi o...».

Jocelyn si sentì spinta da un impulso mai provato prima.

«Tu parli troppo», commentò, prima di afferrarlo dal colletto della divisa e tirarlo a sé, riuscendo finalmente a baciarlo.

Restarono così vicini per un tempo che parve interminabile e, quando la ragazza si ritrasse per prendere fiato, pensò persino di veder spuntare l'alba oltre le montagne. Ma era ancora mezzanotte, e loro si amavano ancora.

Il giovane mago restò immobile per qualche secondo, indeciso su cosa dire. Entrambi erano immersi in un vortice di emozioni che li confondeva.

«Allora... dobbiamo rendere pubblica questa cosa?», chiese. «Sai, me e te...», provò a spiegarsi meglio.

«So cosa intendi dire», lo interruppe la ragazza. «Ma perché preoccuparsene? Questo è un piccolo villaggio e le cose si vengono a scoprire sempre, in un modo o nell'altro. Alois e Silas saranno i primi a capirlo. Per quanto riguarda Vyn, invece... vorrei essere io ad informarlo. So che non la prenderà bene».

Jason sospirò.

«Ora sei tu a parlare troppo. Dervyne ti capirà, ma adesso non può vederci né sentirci. Nessuno può. Vogliamo sprecare questo momento?»

Prima che Joy potesse sospirare un "no" si ritrovò di nuovo fra le sue braccia e le parve di essere in paradiso.

Si baciarono di nuovo, molte altre volte, per minuti interminabili, professando il loro reciproco e giovane amore che stava sbocciando mentre l'autunno attorno a loro moriva. L'inverno li accolse quella notte stessa. Faceva molto più freddo e morbidi fiocchi di neve caddero su di loro, sulla terra e nell'acqua, cristalli bianchi e leggeri che volarono nell'aria sospinti dal vento.

E mentre loro approfittavano di quel magico momento, non volendosi più lasciare, qualcuno li osservava da lontano, nascosto tra due rovi. I suoi occhi canini e dorati brillavano più della luna stessa, il suo fiato si condensava in nuvole di denso vapore acqueo. Sapeva cosa stava per attenderli, lo aveva visto, lo aveva percepito. Si lasciò la scena alle spalle scuotendo la grande coda bianca e tuffandosi nella foresta. Non c'era tempo da perdere.

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