La chiave [2]

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Quelle sue ultime parole furono sufficienti per concludere la conversazione.

Galtur lasciò la sala del trono e si ritirò nella sua torre, seguito da due guardie che camminavano dietro di lui senza neppure aprir bocca. Le sue stanze non erano lontane e tutto ciò che al momento desiderava era assopirsi fino alla sera o il mattino dopo, per poi rimuginare riguardo gli ultimi preparativi. Contava sul serio sull'aiuto di Hope, ma non si fidava affatto di lei, bensì della sua ingenuità. Una donna come lei, accecata dall'odio e dalla furia, lo avrebbe aiutato convinta che il favore le venisse ritornato. L'unica cosa dalla quale doveva guardarsi era rivelarle di essere stato lui, e non un soldato qualunque dell'esercito, ad aver brutalmente assassinato Leonel, uomo di cui lei era innamorata. Non che gli importasse di ferire i suoi sentimenti, ma a quel punto Hope, Beta dei Ghiaccionero e ora potenziale Alpha, era l'unica in grado di tirarli fuori una volta per tutte dal Regno Carminio, sempre ammesso che si fosse salvata.

Pensieri come una possibile disfatta, sua o dei suoi nemici, gli ronzavano per la mente, tormentandolo con ogni sorta di immagine o presagio, quando Bulbar lo raggiunse con il suo solito passo affrettato e gli si inchinò davanti.

«Altezza!», lo venerò dunque. Basso com'era, almeno a confronto con il gigantesco re che sfiorava i tre metri dal suolo, corna comprese, quell'apostrofe fu la migliore tra le possibili scelte.

«Cosa vuoi ancora, ambasciatore?», gli domandò Galtur, sistemandosi meglio il mantello di pelliccia sulle spalle sudate e stanche. La sua voce era annoiata e nervosa, segno della sua irritazione nell'essere stato interpellato in un momento simile.

Bulbar fece ancora due o tre inchini, mormorando scuse e giustificazioni e solo dopo rivelò il motivo per il quale aveva bloccato il re proprio lì, nel bel mezzo di un corridoio che stava per condurlo alle sue camere, dove si sarebbe riposato e avrebbe riacquisito le forze senza che qualcuno potesse disturbarlo.

«Questo paesano si è presentato al castello poco fa. Sostiene che una demone a lui cara sia scomparsa nel nulla. Potrebbe essere opera dei licantropi, sire!», presentò subito la questione.

Solo in quel momento Galtur si accorse della presenza di un altro demone, oltre le due ulteriori guardie che scortavano Bulbar.

Era un giovanotto con qualche anno in meno di lui, dalla pelle verde chiara, quasi sulla tonalità della menta, con un cespuglio di riccioli bruni e scompigliati sulla testa dal quale sbucavano quattro corna molto piccole, due a destra e due a sinistra, una più alta dell'altra. Sul mento aveva un pizzetto corto molto scuro, il suo fisico era magro e scarno ed i suoi occhi violetti impauriti e timidi.

«Potresti anche darmi più dettagli, caro ambasciatore, o non ti sarò di alcun aiuto, temo», alzò la voce allora, osservando il giovane demone vestito di stracci di cuoio e pellicce di poco valore.

«Risponde al nome di Falvern, maestà. È un cacciatore, ma si occupa anche della locanda "il Rifugio del Fuggiasco", a Sud di qui», illustrò allora l'anziano, facendosi da parte, così come le guardie, per lasciare che il suo signore guardasse meglio l'ospite, che si spaventò ancor di più e si inchinò fin quasi a toccare il pavimento di pietra con la punta del naso.

«Tutto il resto del reame è a Sud di qui», s'infastidì ancor di più il grande demone rosso, decidendo però di lasciar perdere per non tirare ancora avanti la questione. «Falvern, eh? Il tuo nome non mi è nuovo, e neanche quello della tua locanda», rifletté ad alta voce.

Il giovane davanti a lui venne scosso da un brivido. «L-la locanda non è mia, maestà, io aiuto solo la proprietaria procurandole i rifornimenti e agevolandole le spese, ma mi occupo delle consegne qui al castello, sono io a portare l'estratto di rovospettro ed il vino, o almeno la maggior parte di quello che viene versato e bevuto», ci tenne a chiarire, sempre a testa bassa.

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