L'indagine [4]

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Si chiusero la porta alle spalle circa dieci minuti dopo il loro incontro. Tra un'altra mezz'ora sarebbero scoccate le tre di notte, non c'era poi molto tempo da passare insieme.

Si ritrovarono praticamente a correre tra una stanza e l'altra, attraversando i corridoi e nascondendosi negli angoli ammantati con il favore delle tenebre. Diventarono tenebra loro stessi, scomparendo e riapparendo ovunque ed evitando il calore e la luce delle torce accese.

Le guardie passeggiavano stanche e sbadigliavano, alcune addirittura erano dormienti e russavano senza contegno. I ragazzi riuscirono comunque a sorpassarle tutte senza essere minimamente notati.

Raggiunsero il massimo del rischio solo quando J, troppo occupato a guardare altrove, picchiò la testa contro il cono di una torcia. I suoi capelli non andarono a fuoco per un pelo, e Joy lo tirò via prima che un demone di ronda potesse vederlo, attirato dal frastuono del colpo.

I lycan avevano proseguito facendo maggiore attenzione, e Jason massaggiandosi la fronte. Quando raggiunsero il cortile e poterono respirare con calma, l'aria sembrò fresca e pulita come non mai.

La pioggia continuava a cadere, ma era leggera e ogni tanto si fermava. L'odore del terreno bagnato mandava Jocelyn in estasi, ricordandole degli autunni della sua infanzia e di quando, ai tempi in cui era solo una bambina frequentante l'asilo nido, lei e Serena si divertivano a calpestare le foglie cadute dagli alberi, gialle, rosse e arancioni, sotto la suola degli stivali pesanti, giocando alle guerriere tra gli alberi dei giardini delle loro case.

Ripensare alla sua amica, però, la fece soffrire non poco. Non aveva fatto quasi mai il suo nome dal giorno della sua morte, e in un modo o nell'altro se ne sentiva doppiamente responsabile. Serena, quella ragazza così dolce e allegra, era stata tramutata in un mostro assetato di sangue senza però perdere del tutto la sua umanità. Alla fine aveva sacrificato la sua vita per salvare quella di Joy e Jason. Era stata vendicata, questo era vero, ma nessuna vendetta avrebbe mai restituito alla vita la sua migliore amica.

In quel momento le parve quasi che Serena fosse accanto a lei, saltellando senza pudore tra le panchine del giardino, cantando o fischiettando una qualche canzone infantile ed esplorando il mondo con i suoi occhioni celesti. Probabilmente era esattamente quello che stava facendo nel luogo migliore in cui si trovava in quel momento.

Jocelyn si guardò attorno, decisa a trovare un segno della sua presenza, ma l'unica cosa che vide furono un paio di foglie di rovospettro, nere di vecchiaia, che si muovevano nel cielo trasportate dalla brezza. Seguì con attenzione la loro guida, che la condusse a posare gli occhi sullo sfondo oltre quelle foglie.

"Che Serena mi abbia indicato la via?", rifletté Joy. In automatico, strattonò una delle maniche nere di J.

«I cancelli sono aperti», constatò.

«Sì, e allora?», chiese lui confuso.

«Li chiudono ogni notte e sono sempre sorvegliati. Eppure guarda adesso... aperti, e deserti», replicò.

Si avvicinò con cautela all'entrata oltre il cortile per assicurarsi di non aver visto male, ma non aveva commesso alcun errore. Il modo in cui l'ingresso era stato aperto dava l'impressione che le guardie fossero uscite dalla fortezza di corsa.

L'istinto dell'Anima di Lupo si destò di nuovo, ed il suo sesto senso la costrinse a voltarsi verso la facciata dell'alta torre, dove v'era la camera del Re. La finestra colorata splendeva di mille colori diversi, illuminata da un fuoco al suo interno.

«Galtur è sveglio!», giudicò quindi.

Jason iniziò a capire il suo ragionamento.

«Deve essere accaduto qualcosa fuori città, ma fossi in te non mi preoccuperei molto. Si sarà trattato di qualche furto, o la solita scorribanda notturna dei quartieri di periferia. Qualche soldato avrà avvertito Galtur e ora ne staranno parlando, tutto qui», la calmò.

L'istinto di Joy, però, non tornò a quietarsi.

«No, J. Dev'essere successo qualcosa di ben più importante. Lo percepisco». In quel momento, se fosse stata in forma ferale, le sue orecchie sarebbero scattate rapide, girando come parabole, la coda si sarebbe mossa con nervosismo. Al cento per cento, in quel momento sentiva di essere più una lupa che un'umana. «Dobbiamo andare a controllare», decise quindi.

Jason la afferrò di fretta per un polso. «Ma scherzi? Se ci vedessero oltre le mura del castello sarebbe la fine», la avvertì.

Lei gli mostrò un piccolo sorriso impertinente. «Ma non ci vedranno, giusto?».

Senza neanche attendere una risposta, scivolò di nuovo tra le ombre.

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