La chiave [1]

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Nel Regno Carminio il silenzio era stato spezzato. Per le strade iniziavano ad aggirarsi i primi paesani, che guardavano intimoriti le guardie, alcune completamente intatte, altre ferite o addirittura corpi trascinati sulle spalle di altri soldati, che tornavano alla fortezza senza curarsi dei mormorii che li accompagnavano, tra i quali v'erano insulti o dubbi alquanto fastidiosi.

Il gruppo di soldati entrò a palazzo marciando solenne e chi si trovava in ultima fila chiuse le porte, escludendo il popolo dalla riunione con il re.

Quest'ultimo attendeva notizie alla sala grande, dove erano state consegnate le portate del banchetto dedicato all'ormai impossibile matrimonio.

Galtur era seduto sul trono oltre il palchetto rialzato dagli scalini, con le gambe accavallate e lo sguardo puntato sul tavolo, quasi sconvolto. Azzannava furiosamente una coscia di pollo al forno, farcita con riso e spezie, ma sembrava non sentirne neanche il sapore. Se con una mano teneva sollevato il cibo, con l'altra sosteneva in modo annoiato la testa, con il gomito appoggiato al trono.

Bulbar era accanto a lui e come al solito appariva nervoso e trafelato. Si torturava le mani rigirandosi i pollici e dalla sua fronte colavano rivoli interi di sudore. Era più pallido del solito e ogni tanto gettava occhiate ansiose ai camerieri che facevano avanti e indietro per la sala, ora portando ora riprendendo piatti, pieni o vuoti che fossero, svolgendo il loro lavoro senza commentare o esprimere qualsiasi emozione.

Sul tavolo, alla sinistra di Galtur, era appoggiato un sontuoso abito da donna dei colori della bandiera Lunapiena. Il corpetto da guerriera nero presentava incisioni di ghirigori eleganti, che s'intrecciavano creando motivi floreali lungo la scollatura e le maniche, che avevano bracciali di ferro amaranto incollate a loro, anch'esse decorate, ma con pietre d'onice e rubini. La gonna era lunga e si apriva in splendide gonne dello stesso colore dei bracciali e sotto di essa vi era uno strato di rete nera. Alla gonna era unita una cintura di cuoio con sopra stampato il logo dei Lunapiena, un cerchio nero con dentro la zampa color amaranto del lupo.

Galtur lo guardò e storse il naso. "Tanta bellezza sprecata", grugnì pensando. Ormai era certo che i matrimoni non fossero la sua specialità.

In quel momento le guardie fecero il loro ingresso nella sala.

Bulbar quasi perse l'equilibrio e dondolò vergognosamente per evitare di cadere, sperando che nessuno l'avesse visto.

Galtur si limitò a sollevare lo sguardo, gettando il pollo nel piatto, che un cameriere raccolse in fretta, e alzandosi in piedi usando il fazzoletto a lui riservato per pulirsi in maniera sgarbata le mani. Quando ebbe finito gettò via anche quello.

«Maestà», pronunciò uno dei comandanti del Clan delle Ossa Rotte, che si inginocchiò a terra.

Galtur non riconobbe neanche chi fosse, o semplicemente non se ne curò.

«Ti portiamo notizie della caccia ai lycan», continuò il soldato. La sua voce tremava.

Trascorse qualche attimo di silenzio.

«Dunque?», ruggì Galtur. Bulbar, accanto a lui, saltò per lo spavento. «Avete intenzione di lasciarmi sulle spine? Perché, in tal caso, potrei anche innervosirmi come mai prima d'ora», avvertì il sovrano.

«Questo mai!», si affrettò a dire il comandante. «Ecco... è che le notizie non sono delle migliori...»

Galtur serrò le mani e le ossa delle sue dita schioccarono violentemente.

Il suo ambasciatore sudava freddo e i soldati del clan non erano da meno. Questa sua azione significava che il comandante stava scherzando con il fuoco e che ben presto avrebbe finito per scottarsi.

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