Le sorelle [2]

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Il cielo doveva ancora minacciare di pioggia quando Jocelyn si affacciò alla finestra della locanda con lo sguardo perso all'orizzonte. Non vedeva una tempesta da almeno una settimana, o comunque da tutto l'arco di tempo durante il quale era stata "ospite" del Regno Carminio e del Clan delle Ossa Rotte.

Dervyne era accanto a lei e stava pulendo uno dei tavoli, appena svuotato da uno dei pochi clienti della giornata. Non aveva nulla da fare alla cassa, così Less gli aveva affidato quel ruolo, che a lui non dispiacque.

«Con questo tempo non c'è nessuno in giro», commentò quando ebbe finito di fischiettare un'allegra canzoncina del suo paese.

Joy si distrasse dai suoi pensieri. Si era abituata al sottofondo di quella melodia ed adesso sentiva come un vuoto nell'aria. «Già, quello era solo il quinto cliente del giorno», mormorò sollevando le spalle. Si morse un labbro e notò che il tavolo di legno non aveva più neanche una delle briciole che il demone panciuto aveva lasciato su di esso divorando un'intera teglia di dolci di marzapane. Ci aveva messo almeno mezz'ora per finirli tutti, e ne aveva ordinati di nuovi.

Vyn era stato bravissimo a ripulire e questo fece sorridere la ragazza.

«Cosa cantavi?», chiese con l'estremità della bocca sollevate.

Dervyne si rabbuiò ma cercò di non darlo a vedere. «Solo una filastrocca. Mio padre me la cantava tutte le mattine, quando tornavo dagli allenamenti, per tirarmi su di morale se qualcosa era andato storto».

Joy alzò un sopracciglio. «Non sapevo che Roman fosse così amichevole. Da come me ne hai parlato, io-».

«Non Roman», la fermò lui. «Parlavo del mio vero padre. Demian», le fece capire senza però essere scortese.

Jocelyn s'irrigidì. Ricordava la storia che Vyn le aveva raccontato e sapeva che Demian era morto svariati anni prima, così come sapeva quando il ragazzo tenesse a lui e ne avesse sofferto.

«Cavolo... io... scusami, non intendevo...», tentò di dire, ma non riuscì a trovare le giuste parole.

Dervyne espanse il suo sorriso anche agli occhi, mostrando un viso dolce e sincero.

«Oh, non preoccuparti, non hai fatto nulla di male. Credo mi faccia bene parlare di lui ogni tanto, mi aiuta a ricordarlo. Era un uomo in gamba, un ottimo padre ed il mio eroe». Così lo descrisse, con orgoglio e fierezza.

La ragazza gli poggiò una mano sulla spalla. «Non ne dubito», lo rassicurò. Tirò via la mano senza fretta e spostò altrove lo sguardo. Involontariamente questo ricadde su Jason, in piedi dietro il bancone ed accanto a Less, la proprietaria, intento a lucidare distrattamente qualche bicchiere o posata, con gli occhi già da molto rivolti su Joy.

Lei non lo ignorò, fu lui a distrarsi quando la locandiera gli fece notare di star pulendo da cinque minuti consecutivi lo stesso calice.

La ragazza avvampò solo a guardarlo, ricordando cos'era successo tra loro due appena due giorni prima.

Sfortunatamente, Vyn aveva seguito il bersaglio di Joy e aveva capito chi stava osservando tanto intensamente.

«Tu e Jason vi scambiate occhiate da un bel po' di tempo ormai», le fece notare sottovoce.

Jocelyn sobbalzò capendo di non essere stata abbastanza discreta. «Ah sì?», fu l'unica cosa che riuscì ad articolare, due semplici sillabe balbettanti.

Il ragazzo si strinse nelle spalle. «Sì...», mugolò. «Joy, noi siamo amici, vero?», chiese poi.

Alla ragazza parve parecchio strana quella domanda. «Certo, ti considero un caro amico», rispose subito.

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