Il nuovo giorno [1]

395 40 0
                                    

Il portale brillava di un'anonima luce arancione e le fiamme delle torce intorno ad esso sembravano ardere con più vigore rispetto alle altre in lontananza. Nonostante questo nella camera del Re Galtur faceva molto freddo e al di fuori delle spesse mura di pietra la pioggia imperversava e le grosse gocce d'acqua strascicavano lungo le scanalature della roccia, rendendola scivolosa come muschio, e percorrevano verticalmente le scie lasciate impresse da acquazzoni ormai passati sulle finestre di vetro colorato. Una sottile scia rossa era comparsa all'orizzonte e spiccava nel cielo nero, ma l'alba non era ancora arrivata.

Hope osservò quella sfumatura combattere contro le ombre nel tentativo di dare vita a un nuovo giorno, ma le tenebre non accennavano ad arretrare. Strinse con più forza le mani alle braccia opposte, sfregando le maniche viola della maglia che una cameriera le aveva gentilmente offerto, nel tentativo di riscaldarsi. Con le sopracciglia aggrottate la Beta assomigliava ad un orso imbronciato, o almeno così pensò guardando il suo vago riflesso proiettato sulla finestra.

«Dannata tempesta. Avevi detto che erano rare!», imprecò mordendosi le guance.

Galtur se ne stava comodo sulla poltrona alle sue spalle, ad osservare il trofeo appena conquistato che splendeva nella sua aura magica. «Sì, e ho anche detto che se e quando arrivano sono sempre potenti», rispose annoiato.

Incrociò le dita e accavallò le gambe. Il freddo non sembrava disturbarlo.

Hope grugnì e fece schioccare le labbra. «È questo il motivo per il quale hai ordinato al popolo di non uscire di casa?», chiese con voce apparentemente ingenua.

Il Re non fece caso all'ovvietà del suo quesito. Le rispose atono, tranquillo nonostante le urla dei combattimenti che si stavano svolgendo giù nel giardino fossero udibili fin da lì.

«No. Glielo ho ordinato perché sapevo che sarebbe scoppiata una battaglia non appena Tredos fosse riuscito a rubare il portale».

Un lungo lamento s'innalzò al cielo, riecheggiando nelle sale del castello. Proveniva dall'ingresso ed era più atroce degli altri.

"Quando ero solo un bambino mio padre mi disse che tutti i lupi ululano prima di morire", ricordò.

Non aveva nemmeno idea se quella frase fosse vera o meno ma di certo il lycan che aveva emesso quell'urlo cupo stava passando a miglior vita attraverso un dolore inimmaginabile. Mai e poi mai Galtur avrebbe saputo il suo nome o conosciuto il suo volto. Poteva trattarsi di uno degli Alpha, dell'Anima di Lupo o del suo amico biondo che il Re aveva quasi ucciso durante una delle cene oppure un semplice soldato, ma non aveva importanza. Nessuna di quelle morti sarebbe mai pesata sulla sua coscienza o lo avrebbe fatto sentire in colpa.

Il sangue scorreva nelle strade, non solo quello dei licantropi ma anche dei demoni.

"Hanno già affrontato altri vampiri, ma non in questa situazione. I branchi non possono vincere", si rassicurò.

Come se per un momento avesse avuto paura di morire. Si convinse del fatto di essere al sicuro e di non dover temere nemmeno per idea una cosa del genere. Due dozzine di guardie sorvegliavano la sua stanza dal corridoio, due delle quali erano all'interno di essa, immobili e composte come armature da esposizione.

«Lì fuori stanno morendo in molti. Sono la tua famiglia, i tuoi amici. Non ti dispiace neanche un po'?», interrogò quando la domanda gli passò per la testa.

Hope tremò di rabbia. «Non sono la mia famiglia, non lo sono mai stati e mai lo saranno», precisò acidamente. «Conosco i nomi di tutti i Ghiaccionero che stanno rischiando la vita o che l'hanno già persa questa notte. Per loro potrei anche essere già morta, non gli importa nulla di me. Non si sono presi la briga di cercarmi o di chiamare il mio nome, alcuni probabilmente saranno anche contenti nell'apprendere della mia fine».

Wolf Souls - DemonsDove le storie prendono vita. Scoprilo ora