La corona spezzata [1]

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Le zampe di Jason frenarono di colpo. Gli artigli s'incastrarono nel terreno sollevando una nuvola di polvere che si dissolse un istante dopo.

"Siamo arrivati", avvisò.

Jocelyn, subito dietro di lui, dovette avvicinarsi a Dervyne per vedere meglio la locanda. Notò il lupo irrigidirsi e capì che se fosse stato umano sarebbe arrossito. Si limitò quindi ad aggirarlo e a guardare l'insegna del luogo.

Era una tavolozza di legno semplice, a forma di scudo e agganciata ad un palo orizzontale con due ganci di ferro ricurvi. La poca brezza che si era sollevata nell'aria la faceva dondolare con pigrizia. Vi erano stampati sopra i caratteri cubitali del nome del luogo, Il Rifugio del Fuggiasco. Nome insolito per una tranquilla taverna. Sotto il titolo appariva l'immagine disegnata di una corona spezzata, simbolo sbiadito che un tempo era stato di un marrone più scuro del legno, forse sfumato di nero o dorato.

Dervyne mosse la coda a disagio. "Conosci anche il locandiere?", domandò nuovamente in preda alla timidezza.

Joy cercò di rassicurarlo con la sua presenza, mugolando per confortarlo

"Si chiama Less, è una donna. Pelle azzurra, capelli neri... carattere piuttosto strampalato. Tranquilli, è impossibile non notarla". Detto questo, tornò umano e, mentre gli altri lo imitavano, spinse la porta della locanda ed entrò.

La scena che si ritrovò davanti sembrava provenire da un vecchio film riguardante il selvaggio west. Un demone che forse aveva alzato troppo il gomito aveva appena sguainato una spada ricurva e la stava puntando dritta alla gola di Less, appoggiata tranquillamente con i gomiti e le braccia incrociate sul bancone e seduta su uno sgabello dietro di esso.

«Ti conviene fare attenzione, bambolina», avvisò con voce roca l'uomo, che era molto alto e robusto. In testa portava strane corna simili a palchi di alce, solo un po' più piccole e meno ramificate, di colore bianco opaco con le estremità che tendevano al grigio. «Io so chi sei. Non ci metto nulla ad andare dal Re o dal suo ambasciatore e a spifferargli di una certa locandiera di città che si nasconde come un topo di fogna».

Less non si scompose neanche. Sembrava calma come se non fosse accaduto nulla. «Puoi andare a dire al tuo Re di non preoccuparsi. Non ci sono ratti nella mia locanda, eccetto per te, ovviamente». Spostò le braccia, portandole sotto il bancone. «Detto ciò, sappi che i miei affari non ti riguardano. A breve avrò clienti, per cui vattene ed eviterò di farti male, che ne dici? Ti sembra equo come accordo?». Sfoderò un ghigno intrigante e socchiuse le palpebre. I tatuaggi che portava sulla pelle brillarono alla luce che entrò dalla porta, ma nessuno dei due parve farci caso.

Nessuno notò i ragazzi sulla porta e, a parte loro, il resto del locale era vuoto e pulito alla perfezione, con i tavoli in ordine e le bevande esposte in uno scaffale alle spalle della donna demone.

L'uomo parve solo infuriarsi ancora di più. «Assolutamente no!», ringhiò come un cane. «Al contrario, se me ne andrò tu verrai con me. Credo che una visita al Re Galtur non ti farà male. Non ti vedo mai, a corte, il che mi fa sorgere ulteriori sospetti».

«Ho la taverna a cui badare», si giustificò lei. «Non ho tempo per recarmi al palazzo e inchinarmi a baciare i piedi di Sua Maestà».

«Lo troverai». La voce dell'uomo risuonò alta, come un ordine. Di colpo, fu chiaro che non era assolutamente ubriaco, ma addirittura perfettamente lucido e consapevole delle sue azioni. «Vedrai, la verità salterà fuori e ti verrai messa ai ferri. Ti farò chiudere bottega e vedrò la tua testa rotolare giù da qualche ceppo, come avrebbe dovuto fare tempo fa», provocò ancora.

Quella fu la goccia che fece traboccare il vaso. Con una raffica, Less tornò ad alzare le braccia. Le mani, però, non erano più libere ma impugnavano una lunga spada leggera, dritta e di ottimo acciaio, la cui impugnatura era costellata di pietre d'onice e ghirigori dipinti con l'argento liquido tempo prima. Le sue mosse furono rapide e decise. Con un calcio colpì il ventre pesante del rivale e lo mandò al tappeto. Con la spada lo colpì alla mano, senza affondare nella pelle, ma il colpo fu abbastanza forte da farlo strillare e mollare la lama ricurva, che volò dall'altro lato della stanza. Meno di un secondo dopo, la punta affilata dell'arma di Less era ad un palmo di distanza dalla gola dell'intruso e si avvicinava sempre di più, sfiorandolo minacciosamente. La locandiera si era inginocchiata e teneva fermo l'uomo, costringendolo a non muoversi.

«Adesso uscirai da qui», gli ordinò con calma glaciale. Tetramente, curvò le labbra pallide verso l'alto. «Non farai parola con nessuno di quello che è appena accaduto, e non tornerai alla mia locanda a recarmi fastidio con stupide fandonie che ti sono state raccontate da qualche vigliacco che non ha avuto il coraggio di affrontarmi». La lama toccò la sua gola. «Se invece lo farai, ti ritroverai questo mio prezioso cimelio conficcato nella carne e credimi, non ho voglia di pulire il tuo sangue dal pavimento, ho appena finito di sistemare». Seguì un attimo di silenzio. «Sono stata chiara?», alzò poi la voce.

Il demone annuì bruscamente, terrorizzato.

Less tornò in piedi e fece roteare la lunga spada tra le dita. «Ora vattene», concluse.

L'uomo non ci pensò due volte. Si alzò, corse verso la porta e spintonò i ragazzi pur di passare. Dopodiché, scomparse nella folla che si stava raccogliendo nelle strade, vicino alla piazza del mercato. Fu in quel momento che Less li vide.

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