The Creatures.

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Mi svegliai all'alba, con un fastidioso cinguettio che mi rimbombava nelle orecchie. In un primo impatto, mi chiesi come La bella addormentata potesse sentirsi anche solo felice o in armonia al suono squillante di quegli uccellacci di prima mattina. Di mio non ne potevo già più; infatti avrei preferito che tacessero all'istante.

Tra l'altro, il terreno non aveva favorito il mio umore, essendo dannatamente scomodo per dormire. La mia schiena era infatti a pezzi, mentre il collo mi doleva. Questo non fece altro che aumentare il mio nervoso e, di conseguenza, quel dannato mal di testa dovuto a quel che era successo il giorno prima: ancora, come un incubo offuscato dalla mente, ricordavo le mani di mio padre intorno al collo, il bosco e la notte che faceva spazio ai gufi e ad altre specie più pericolose. Sentii di colpo un nodo alla gola: non volevo tornare a casa; quello era certo.

L'unico mio rifugio rimaneva solo quel bosco che, silenziosamente, mi aveva accolto e protetto molto più di chiunque altro; eccetto, a pensarci bene, che per la famiglia di Natalie. Difatti, mi trattavano come un figlio ormai, dandomi tante di quelle attenzioni da mettermi ogni volta a disagio non essendoci abituato.

Mi alzai da terra a stento, notando come le nocche delle mani fossero impregnante del mio sangue secco; ed anche molto abrase. Mi ci volle qualche minuto prima di abituarmi al dolore e riprendermi.

Un gruppo di ragazzi, che faceva jogging, si fermò giusto di fronte a me. Vedendo il mio stato, mi chiesero con preoccupazione se tutto andasse bene e se avessi bisogno di aiuto, accennando addirittura ad un ospedale per curare le mie ferite. Rifilai prontamente la scusa di una lotta dopo una brutta ubriacatura; dopo di chè, chiesi dove si trovasse la strada più vicina al parco Parson, quello vicino casa mia, e loro mi indicarono cortesemente la via.

Camminai con calma verso casa, cercando di non pensare al fatto che avevo alcune scheggie di legno nella pelle e che, molto probabilmente, avrei dovute curarle da solo. Una volta arrivato, notai che la macchina dei miei non era parcheggiata di fronte casa; il che significava che avevo via libera per andare in camera, lavarmi e curarmi in tranquillità. E, se avessi avuto fortuna, mi sarei anche potuto permettere il lusso di far colazione in santa pace.

Come prima cosa feci una doccia rilassante, togliendo tutto lo stress accumulato dalla notte prima dalle mie spalle ed anche il sangue incrostato sulle mie mani; poi mi vestì, feci colazione e presi un' aspirina per il dolore. Nonostante ciò, quella calma non mi aveva tolto il mal umore e la voglia di urlare: avevo bisogno della mia band, dei miei amici e, soprattutto, di sfogare con rabbia quello che avevo in mente.

Mi scese una lacrima e strinsi i pugni, ricordandomi solo troppo tardi delle scheggie. Iniziai a toglierle con una pinza una ad una a sangue freddo, anche se faceva male; anche se parevano pungermi fino alle ossa. Ero abituato a tutto ciò: quella era la normalità per me.

Prima di uscire mi guardai allo specchio e mi sistemai meglio i capelli maldestramente. Notai che sul collo avevo dei lividi, ma questo non mi impedì di vestirmi con dei jeans neri strappati ed una maglia a giromanica dei Black Sabbath anch'essa nera.

Presi la borsa ed uscì di casa, dato che ormai era ora di andare a scuola. Dopo pochi minuti mi sedetti sulla panchina della fermata dell'autobus ed aspettai. Sorprendentemente il bus arrivò non molto più tardi del solito. Mi misi comodo al mio solito posto, non notando chi mi era intorno; d'altronde, era già tanto che mi ero messo di buon impegno per andare a scuola nonostante la notte passata ad essere un senza tetto.

"Sei incazzato anche con noi oggi?" sbottò Tom alle mie spalle, prima di darmi una pacca amichevole.

"Lascialo stare, Tom" continuò George "Sembra aver passato una notte da schifo!"

We'll find the happiness in the hell.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora