Abbracciare Natalie in quel momento mi alleggerì la mente da quei spiacevoli pensieri di farla finita una volta per tutte, togliendomi qualsiasi intenzione. Un po' stupita, mi chiese cosa ci facessi sul ciglio di quel burrone col rischio di cadere da un momento all'altro dato che non era esattamente sicuro. Di tutta risposta deviai il discorso e le domandai invece cosa ci facesse lei da quelle parti. In realtà fu una domanda del tutto insensata dato che sapevo perfettamente che cosa fosse venuta a fare lì: a lei piaceva fare lunghe ore di jogging nei posti più assurdi e desolati, tanto che una volta scherzai sul fatto che l'avremmo ritrovata in qualche fattoria nel Texas a mungere mucche e allevare quegli alpaca che tanto amava. Diceva sempre che avevano un muso carino e che, soprattutto, trottavano e saltellavano quando erano felici, il che mi fece ridere perchè il tutto sembrava troppo strano da immaginare.
Cercai di non pensare al dolore che avevo alle mani chiacchierando e raccontandoci intanto quello che era successo nella nostre vite dall'ultima volta che ci eravamo visti. Gli mostrai una foto mia e di Castiel e quasi non gli cadde la mascella a terra dato lo stupore: voleva sapere come tutto fosse accaduto e come fossimo arrivati a quel punto ma non riuscii a dire granchè; difatti gli dissi solo del concerto, della maschera e come tutto lentamente fosse nato. In fin dei conti, me lo chiedevo anche io come fossi arrivato a quella situazione: me lo ripetevo quando tramite una videochiamata lo guardavo addormentarsi, o quando mi voltavo e lo vedevo arrossire per esser stato scoperto a osservarmi. Me lo chiedevo anche quando rimanevamo da soli e, senza parlare, guardavamo qualcosa in tv stretti in un abbraccio. In quei momenti era come se rivivessi le stesse emozioni di quando Lucas era al mio fianco; le stesse che riuscivano a calmarmi ogni volta.
Di lui, di Castiel, mi piaceva la dolcezza con cui si aggomitolava vicino al mio corpo nel momento in cui eravamo seduti sul divano a far zapping tra i vari canali. O il coraggio -ancor più significativo ora come ora- che dimostrava quando si avvicinava per darmi uno di quei rari baci più profondi del solito.
Eravamo tutti e due dei ragazzi rovinati a soli 17 anni che provavano in qualsiasi modo a trovare un equilibrio su quella fragile bilancia della vita: Noi due eravamo alle estremità opposte, aggrappati saldamente ad esse mentre tentavamo di non mollare la presa. Nonostante il dolore, cercavamo di non cadere l'uno nelle sofferenze dell'altro ma ciò era difficile, dannatamente difficile perchè ora - ne ero sicuro - avevo trascinato Castiel nel mio dolore nel momento in cui ero uscito da quella casa, dicendo di voler star solo e abbandonando tutti i miei amici allo shock di quello appena successo.
Natalie notò come il mio umore stesse cambiando vertiginosamente e mi portò su un tronco abbattuto ai piedi del bosco, dove ci sedemmo. Osservò anche le mie mani arrossate e piene di tagli, e decise di metterci dell'acqua fredda che aveva nello zainetto; prima versandone un pò per pulire delicatamente i tagli e subito dopo posando la bottiglietta su di essi facendo in modo che non si gonfiassero ulteriormente. La ringraziai e ancora una volta mi guardò con quello sguardo pietoso che odiavo tanto. Mi infastidiva che qualcuno potesse provare una minima pietà per me, come se fossi troppo debole per reagire o per far qualsiasi cosa. Nonostante tutto evitai di far discussioni o altro perchè non ero proprio in vena di innervosirmi ancor di più.
"Come stai, Natalie?" chiesi pur di rompere quel silenzio.
"Male. Abbiamo perso il campionato in cui la mia squadra partecipava." disse tristemente "Ma presto ci saranno altre gare, per cui..."
"Forse sono le stesse di Tom, anche lui ha delle gare in arrivo." risposi "Ci eravamo organizzati per andare da lui a Newport beach per vederlo giocare."
"Credo che siano le stesse. Ci potremmo rivedere lì. Una nuova occasione siccome non ci incontriamo mai... Stronzo!"
Mi spinse scherzosamente e io scoppiai a ridere pensando che in fin dei conti non aveva tanto torto. L'ultima volta che la vidi fu circa quattro mesi fa, e anche quella volta fu subito dopo esser scappato di casa dalla finestra. Era assurdo pensare che ogni mio amico fosse collegato - e lo era tutt'ora - a eventi che riguardassero indirettamente i miei genitori o qualcosa di altrettanto triste.
Tra l'altro, noi del gruppo ci eravamo conosciuti a scuola ed eravamo cinque ragazzi dallo sguardo duro bullizzati da quello che ora non aveva neanche il coraggio di incrociare il nostro sguardo, soprattutto dopo quello che era successo con Castiel e quello che gli aveva detto in fine. Andrew fu la nostra paura per tanto tempo, e ognuno di noi aveva qualcosa che non andava per lui. Ad esempio, per lui Tom era troppo sensibile dato che per quel periodo - e per colpa sua - piangeva spesso.
Per la sua stupidaggine nacquero le nostre insicurezze: da qui George iniziò ad ammalarsi perchè reputato troppo grasso dal bullo, John smise di leggere nel tragitto casa-scuola perchè l'ultima volta quello stronzo gli strappò tutto il volume del manga pagina per pagina, io invece iniziai a coprire i miei lividi in modo quasi ossessivo quando c'era lui nelle vicinanze, Ricky aveva smesso di truccarsi e Tom tentava in tutti i modi di non farsi coinvolgere in alcun modo da qualsiasi attività per paura di esser notato da Andrew.
Tutto cambiò quando vidi per l'ennesima volta i miei amici star male. Quello che prima era diventato qualcosa di fragile come carta bagnata, si trasformò in totale acciaio siccome George si alzò dal banco e gli andò incontro incazzato nero perchè aveva iniziato a prendere di mira John troppo spesso. Tra loro due c'era infatti un legame fraterno molto forte, e anche per questo Georgie perse le staffe all'ennesima provocazione di Andrew. Subito dopo prese una sedia vicino a lui e la lanciò contro il corpo di Andrew che reagì immediatamente andandogli incontro. A quel punto quel che fatto era fatto, per cui ci unimmo tutti insieme spingendo il corpo scheletrico di George dietro di noi, e iniziando a difenderlo: prima con le parole, poi con i pugni. Ero sicuro che da qualche parte eu internet ci fosse ancora qualche video sull'accaduto e su cosa gli avevamo fatto.
Morale della favola: venimmo sbattuti in presidenza e sospesi per una settimana.
"Prometto che appena avrò tempo verrò da te" dissi sorridendo, un pò imbarazzato dalle parole appena dette "Però ora sono indaffarato con il gruppo, stiamo creando un progetto serio..."
"Serio?" chiese perplessa "Di che parli?"
"Siamo in contatto con una casa discografica." dissi sorridendo.
Natalie per poco non cadde dal tronco tanta la gioia e mi abbracciò forte, quasi urlando quanto fosse felice per noi e quanto ce lo meritassimo. Io gli sorrisi di vera gioia e annuii alle sue parole.
Decidemmo che era ora di andare a casa quando il sole iniziò a calare piano su quella che era Huntington Beach e sul quel paesaggio che si intersecava tra diversi alberi in lontananza, risaltando con quell'arancione il bordo di quel burrone che fino a poche ore prima osservavo con rassegnazione mentre il mio corpo debole e stanco, non riusciva più a sopportare tutto quello che gli stava succedendo. Stavo pensando davvero di buttarmi. Stavo veramente abbandonando tutto a causa della frustrazione e la sofferenza che quella dannata vita mi aveva riservato. Prima di andarmene definitivamente da questo mondo - quando Natalie si stava incamminando - mi fermai ancora su quel bordo, pensando se ne valesse veramente la pena.
"Dean?" disse lei con un piccolo tremolio di voce.
Io guardai ancora in basso e sorrisi. Non ne capii il pieno motivo, ma lo feci.
"Castiel..." sussurrai.
Feci un passo indietro e andai da lei a passo svelto. Scoprii al ritorno che c'era un sentiero delineato molto più facile di quello che stavo percorrendo poco prima; tra l'altro qui non c'erano nemmeno rocce o salite ripide e difficili da eseguire.
Uscimmo dal bosco quando oramai era buio e accompagnai Natalie a casa. Prima che lei entrasse la abbracciai forte ancora una volta: una parte di me stava ancora pensando che quello che Oscar aveva detto era più che vero, e sentirmi osservato anche quando la strada era deserta non era il massimo, così decisi di salutare Natalie in quel modo, in caso fosse stato l'ultimo.
Tornai a casa e i ragazzi mi vennero incontro. Non dissero niente di particolare e sembrava che si fossero ripresi da quello spiacevole incontro, ma mi abbracciarono ugualmente uno ad uno e mi chiesero perchè non avessi risposto ai messaggi - notai solo allora il telefono scarico -, poi chiesi a George se poteva curarmi le ferite che mi ero procurato.
"Sei uno stupido, Dean." sussurrò George, passando l'ovatta intrisa di disinfettante sulle mani.
"Anche tu, Georgie." dissi. "Ma lo sai anche tu quanto è... Strano quando ti provochi questo."
Mi guardò male e premette l'ovatta più insistentemente, giusto per farmi capire che non era d'accordo con quello che avevo appena detto. Una volta finito il tutto, dissi che sarei sicuramente andato a dormire, e insieme a me anche gli altri furono della stessa idea. Rimanemmeno solamente io e Ricky, il quale mi disse che probabilmente sarebbe andato a letto presto anche lui.
D'altronde dovevamo andare a scuola il giorno dopo.
"Dean..." disse vicino le scale. "Dovresti andare da Cas. Mi ha chiesto se poteva rimanere fin quando non tornavi e gli ho detto di si..."
"Dov'è?" chiesi, pensavo fosse andato a casa.
"In camera tua." rispose.
Salii le scale correndo e facendo due gradini alla volta per poi, una volta arrivato a metà scala, voltarmi per guardare Ricky mente saliva a passo normale.
"Può rimanere qui?" dissi con tono serio "Solo questa notte..."
Ricky annuì.
Aprii la porta della mia camera da letto e la prima cosa che vidi furono le scarpe di Cas posate vicino al comodino mentre quest'ultimo era steso con lo sguardo rivolto verso la finestra. Mi dava le spalle e le sue braccia erano avvolte intorno al suo corpo, il che non era un buon segno. Quando richiusi la porta alle mie spalle, potei notare come si fosse voltato appena per vedere chi fosse entrato, per poi rivoltarsi verso la finestra. Mi tolsi le scarpe anche io e mi stesi vicino al lui.
"Castiel..." sussurrai e posai la mano sulla sua.
Si voltò lentamente e quando mi vide sorrise, anche se si poteva vedere chiaramente quanto fosse triste e quanto i suoi occhi lucidi esprimessero un pianto che probabilmente era cessato da poco. Mi fece veramente pena in quel momento. Era troppo per un solo giorno e io lo avevo abbandonato a quei pensieri, a quelle paure che ora anche Oscar gli aveva insinuato nella mente come delle piccole pulci parlanti.
"Dean..." disse con voce flebile e rotta. "Posso... abbracciarti?"
Non capivo perchè me lo avesse chiesto, di solito non lo chiedevamo, ma feci svanire quei pensieri in un secondo e avvicinai quel ragazzo per stringerlo a me e dargli un bacio sulla fronte. Notai come nei primi secondi in cui era tra le mie braccia fosse abbastanza rigido, simile a quando sei per troppo tempo teso e aspetti solo un bagno caldo per rilassarti; infatti, dopo poco, sentii i suoi muscoli rilassarsi e le sue braccia ricambiare quell'abbraccio.
"Va tutto bene, Cas." sussurrai "Siamo solo noi due ora."
Forse il fatto che la stanza fosse semi buia mi aiutava a dire quelle cose.
"Volevo ammazzarlo davvero, Dean." disse "Lui stava... Non voglio che tu viva le stesse cose che ho vissuto io."
"Castiel, ascoltami. Per me è quasi normale tutto questo, per cui togli dalla testa quel pezzo di merda ora." risposi. "E riguardo me, magari tu puoi togliermi questi pensieri dalla mente!"
Sorrisi maliziosamente e alzai il suo viso con l'indice e il pollice, per poi baciarlo piano. Ricordai la prima volta che toccai quelle labbra così morbide e delicate, in contrasto con quei piccoli morsi dati quasi per il puro scopo di vederlo sorridere in quel momento e, soprattutto, in quella stanza semi buia che, giorno dopo giorno, era diventata il mio piccolo rifugio da tutto e da ogni cosa mi accedesse: ancora ricordavo - con dispiacere - quando dissi a Castiel di troncare i contatti con me, mentre ripensandoci ora mi sembrava quasi impossibile pensare che fosse lì accanto.
Castiel sembrava più rilassato rispetto alle altre volte in cui quei baci prendevano una piega piuttosto provocante. Sembrava si fidasse di me rispetto a qualche settimana prima, tanto da lasciarmi libero accesso nel fare quei piccoli gesti a cui tenevo, come ad esempio sfiorarlo e sentire la pelle a contatto con la mia. Effettivamente ora stavo accarezzando il fianco che avevo appena scoperto e insierii la mano per poi muovere il pollice di poco, quasi fosse un movimento monotono per farlo addormentare. Subito dopo feci scendere la mano sul fianco e il fondoschiena, fermandomi lì perchè quello che successe subito dopo mi sorprese molto di più di quell'intimità che attualmente avevamo già creato.
"Dean..." sussurrò, dal suo tono di voce sembrava timoroso. "Voglio sentire..."
"Vuoi che ti metta la maschera di Charlie?" chiesi ironicamente "Sarai anche tu più sicuro, credo."
Vidi Castiel abbassare lo sguardo e dopo poco avvicinarsi alle mie labbra. Mi baciava dolcemente, ma non fu questo a stupirmi, bensì le sue mani che si insinuavano sotto la felpa, per poi toglierla completamente. Continuai a baciarlo, mentre sentivo le sue mani esplorare il mio corpo, poi tentai la stessa cosa e rimasi ancor più stupefatto quando fu lui stesso a lanciarla dall'altra parte del letto.
"Mi fido di te, Dean." mi disse "E voglio, pian piano, darti tutto... Iniziando da questo e finendo chissà quando e chissà dove."
Sorrisi a quelle sue parole e al suo timido modo di esprimersi quando mi pregò di non accendere la luce perchè sia io che lui sapevamo quanto fosse imbarazzato e rosso in viso. Restai a guardare i suoi occhi celesti illuminati dalla piccola luce fioca della luna, poi disegnai delle piccole linee immaginarie sulla sua schiena che di tanto in tanto erano interrotte - o per meglio dire, rallentate - dalle cicatrici che aveva, da quell'orrore che aveva vissuto.
D'altro canto, entrambi avevamo segni indelebili sul nostro corpo, disegni oscuri che non sarebbero andati mai via. Castiel accarezzò lentamente quei segni doppi e rossi sul braccio sinistro, mentre con l'altra continuava a studiare la mia schiena. Li sfiorò con la punta delle dita per poi baciarle una ad una con le sue soffici labbra rosee.
Avrei tanto voluto non avere quegli occhi lucidi, ma nessuno aveva mai fatto questo e a nessuno avevo mai permesso di toccarle se non a George. Fortuna che l'oscurità copriva con un manto nero i miei occhi.
Restammo così a chiacchierare per un pò prima di coprirci con le coperte a causa del freddo. Cas avvisò la madre di voler rimanere a dormire qui e lei - dopo aver parlato anche con me - accettò, a patto che l'indomani saremmo andati a scuola in orario siccome non accettava che dopo diverse assenze, per diversi impegni di entrambi, il giorno di ritorno a scuola fosse arrivato anche in ritardo. La signora Lorans era una mamma modello e continuavo a invidiare Castiel per questa fortuna.
Entrambi restammo vicini, tanto da sentire l'uno il respiro dell'altro, per poi addormentarci e ritrovarci in sogni decisamente migliori della realtà che avevamo vissuto.
STAI LEGGENDO
We'll find the happiness in the hell.
AcakDean è un ragazzo problematico con alle spalle una famiglia di tossicodipendenti, questo lo porta a sfogare la sua rabbia repressa contro chiunque gli dia fastidio, in particolare con Castiel Novak. Dean, appassionato di musica, crea una band in cu...