Il giorno dopo mi svegliai alle sei di mattina. Scoprii con sorpresa che George non era più nella stanza, mentre la coperta che gli avevo steso era adesso adagiata sul mio corpo; sopra al lenzuolo bianco dell'ospedale.
Circa un ora dopo arrivò il dottor Watson, un uomo magrolino, biondo e dagli occhi verdi smeraldo. Aveva la pelle scura, probabilmente perché abituato ad avere l'abbronzatura estiva di ogni californiano, anche se sulle mani e sul viso si potevano notare delle macchie di pelle bianca, quasi come se l'abbronzatura non avesse preso in quei punti. Mi sembrò strano fossero così delineate e che il contrasto fra le zone più scure e quelle più chiare fosse così marcato, ma allo stesso tempo non azzardai a chiedere perchè le avesse; mi sforzai di non fissarlo nonostante avesse quel qualcosa di particolare che, di suo, riusciva a suscitare attenzione e curiosità.
Il dottore mi spiegò come disinfettare le ferite, cosa fare in caso di dolore e, con l'aiuto di un infermiera, mi mostrò come mettere le bende intorno alle ferite. Infine, mi chiese se volessi l'aiuto di uno psicologo per superare qualsiasi cosa avessi, e qualsiasi motivo mi avesse spinto a tentare di suicidarmi provocandomi tagli di ogni tipo; di cui alcuni ben profondi.
Scossi la testa, spiegando fosse stato solo un incidente e che fossi scivolato contro lo specchio, ma lui di rimando mi guardò attentamente con i suoi occhi penetranti, per poi sospirare e guardare la cartella clinica immerso nei suoi pensieri.
Probabilmente pensava che fosse l'ennesima bugia di quello che poi sarebbe stato un paziente abituale, ed una parte di me gli dava anche ragione; eppure, pensavo a cosa avrei mai potuto dire ad uno psicologo, da dove avrei potuto iniziare a raccontare i miei traumi ed il mio dolore: avrei potuto parlare di James, Kate, Daniella, Antoine ed infine dell'incidente di Lucas e di come io a distanza di due anni mi sentissi in colpa per uno dei nostri litigi. Continuavo a pensare che se non gli avessi detto quelle parole lui non sarebbe morto, e ora avremmo vissuto due splendidi anni insieme.
Nonostante ciò, la mia mente iniziò anche a pensare che se Lucas fosse stato ancora vivo, non avrei mai iniziato una relazione - o qualsiasi cosa fosse - con Castiel. D'altro canto, lo dicevo sempre che per ogni dolore ci sarebbe stata una gioia a compensarlo.
Era il mio mantra per non impazzire del tutto.
"... Concludo col dirti che oggi potrai tornare a casa. Non sforzare quel braccio sollevando oggetti pesanti, e cerca di tenerlo a riposo più possibile." disse il dottor Watson. "Abbiamo anche notato dei lividi sulle braccia e sul corpo, sicuro che non vuoi denunciare qualcuno?"
Scossi la testa e guardai in basso.
"È stato solo un incidente."
Non capii metà del discorso che fece a causa dei miei pensieri riguardo Castiel. Dopo che rimasi da solo, fui libero di leggere quei messaggi che mi aspettavano dal giorno precedente e che ancora non avevo avuto il tempo di leggere. Ero impaziente di sapere cosa mi avesse scritto dopo che gli dissi di non volerlo più sentire né vedere; così accesi il cellulare, e guardai la schermata che mi diceva di inserire il codice di accesso. Digitai velocemente sulla tastiera e mi catapultai a vedere i messaggi arrivati: vi erano diversi messaggi di Castiel, ma solo due di Oscar.
Aprii quelli di Oscar:
-Ciao Dean, spero ti rimetterai presto dall'ospedale. Non vogliamo il nostro miglior cliente morto.
-Per ora.
A quei messaggi mi si gelò il sangue. Era certo che loro mi osservassero e che non avessi più un minuto di tranquillità: non potevo fare nulla, ed ogni mia azione era controllata. Non avrei nemmeno potuto, nel peggiore dei casi, pensare bene di scappare senza che loro, in un modo o nell'altro, lo venissero a sapere. Questo mi faceva sentire irrequieto. Voltai lo sguardo da una parte all'altra della stanza, come se qualcuno potesse comparire ed essere - in qualche modo - collegabile alla brutta gente che faceva parte dello stesso giro di quel criminale. Subito dopo, mi avvicinai alla finestre e guardai fuori, puntando gli occhi sui parcheggi e cercando delle auto sospette nella miriadi di auto lì di fronte. Ovviamente fallii, e andai a sedermi sul tavolino lì di fronte al mio letto.
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We'll find the happiness in the hell.
De TodoDean è un ragazzo problematico con alle spalle una famiglia di tossicodipendenti, questo lo porta a sfogare la sua rabbia repressa contro chiunque gli dia fastidio, in particolare con Castiel Novak. Dean, appassionato di musica, crea una band in cu...