Recovery.

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I ragazzi avevano uno sguardo sconvolto e pieno di disgusto ad ogni frase che pronunciavo; le loro iridi erano infatti così piccole dal ribrezzo provato che non riuscii a guardarli a lungo, tanto che mi misi a giocare con la garza che avvolgeva la mano ed alcune dita, fino ad arrivare quasi a metà braccio: Tom aveva detto che in alcuni punti avevano dovuto operare e togliere i frammenti di specchio ormai rotti tra le ferite e che, difatti, dovevo tornare in ospedale tra una settimana per togliere i punti. Mi accennò anche al fatto che rimasi in quell'ospedale per tutto il giorno ed effettivamente potei constatare che era ormai tardo pomeriggio, mentre gli effetti dell'anestesia mi facevano passare tra stadi di sonnolenza a stadi di piena energia. Mi avevano fatto pure un video post-anestesia quando ero incosciente di quel che dicevo. Da quanto capii, nel video sussurravo qualcosa di incomprensibile per poi chiamare Castiel, intanto che una lacrima scendeva placidamente sulla mia guancia per poi bagnare appena il cuscino sottostante. I ragazzi mi chiesero il perchè ma io, in risposta, deviai il discorso.

Continuai il racconto parlando di quelle bestie alla guida del furgone, di come il più vecchio descrisse nei minimi particolari cosa volesse farmi, come e dove, per poi parlare del terrore e del fatto che avessi deciso di lasciar perdere la frequentazione con quel ragazzo che ora come ora non riuscivo a togliermi dalla mente. Mentre gli raccontavo questa mia decisione, pensai a come avrebbero potuto reagire al fatto che Castiel fosse quella misteriosa persona di cui stessi parlando.

Ero più che certo che loro sarebbero rimasti sorpresi nel capire che la persona che bullizzavo dal primo anno scolastico, fosse la stessa che mi facesse sorridere - a testa bassa in modo da quasi nascondermi - come un idiota su quel letto di ospedale.

La stessa che mi provocava quel senso di colpa che mi diceva di chiamarlo e scusami, ma anche la stessa che mi urlava "Hai fatto la cosa giusta!".

A quel punto, mi dissero di aver preso il mio cellulare e che, mentre riposavo, avessi ricevuto dei messaggi di cui non riuscivano a leggerne il contenuto a causa del blocco con password. Appena presi il telefono mi chiesi paranoico se il mio sguardo mi potesse tradire, e se loro avessero potuto così leggermi nella mente e capire che stessi pensando di chiamare proprio Castiel, guardai Greta come per confortarmi da quei pensieri, era chiaramente la più provata di tutti loro: stringeva i lenzuoli bianchi tra le mani quasi come se volesse far sparire il tessuto tra di esse. Tom invece gli era affianco, con un braccio attorno alla sua vita mentre le dava dei baci sulla tempia per calmarla.

Mi sembrava di aver trascinato anche loro nel pericolo più di quanto già non lo fossero, e questo mi fece torcere ancor di più lo stomaco, fino ad aver quasi dolore nel guardare i miei amici, e quasi fratelli, da quanto vivessimo quella situazione insieme; come un unica famiglia.

Voltai lo sguardo verso Ricky, il quale guardava fuori dalla finestra insieme a John, chiacchieravano di qualcosa che non sentii, ma dallo sguardo attento potei capire chiaramente quale fosse l'argomento. Infine mi fermai ad osservare George, lui non disse niente per tutto il racconto, ma mi tenne la mano stretta come se avesse il timore che potessi sparire da un momento all'altro. Soprattutto quando raccontai di quando mi guardai allo specchio provando repulsione, o di quando raccontai di come piacevole fosse il dolore quando si era dannatamente incazzati: lui poteva capirmi e oltre la musica e la forte amicizia, quello che ci accomunava erano le cicatrici.

Scivolai sul letto sdraiandomi completamente su un lato. Lo guardai mentre percorreva le linee di vecchie cicatrici, poi alzò lo sguardo, probabilmente si sentiva osservato.

"Stavo pensando una cosa." dissi con un sorriso triste.

"Dimmi, Dean." rispose, non capii perchè mi lasciò la mano, forse si sentiva ridicolo nel tenerla.

We'll find the happiness in the hell.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora