IT'S the end.

123 5 7
                                    

Appena incontrai i ragazzi, ognuno di loro fece del suo meglio per tirarmi su di morale, cercando di capire cosa fosse successo ed il perchè di quelle lacrime. Se c'era una cosa che ci accomunava l'uno all'altro, era appunto la testardagine di voler sapere e risolvere ogni problema ad ogni costo. Volevamo solo il meglio l'un per l'altro; per noi i momenti buii dovevano essere infatti solo piccoli brufoli sul nostro viso da eliminare all'istante.

Tom e Ricky si impensierirono così tanto da trascinarmi in un luogo più appartato e tranquillo. Mi diedero il tempo di riprendermi, lasciando che mi sfogassi ancora un po' mentre si scambiavano delle occhiate preoccupate. Forse fu proprio questo a darmi il coraggio necessario per scoprire il braccio davanti a loro, mostrando così una grossa cicatrice. Distolsi rapidamente lo sguardo; colmo di vergogna per quanto mi sentissi debole in quel momento.

Loro capirono immediatamente di chi stessi parlando, ma ne ebbero piena conferma non appena gli raccontai, con voce rotta, cosa avessi ricordato. A quel punto ci fu un abbraccio di gruppo che mi rese gli occhi lucidi e le labbra tremanti. Volevo piangere, ma non ci riuscivo.

Mi svegliai il giorno dopo con George curvo su di me che mi scuoteva il braccio. La prima cosa che notai fu la sua bandana rossa intorno al polso e subito dopo un sorriso a tutti denti. Si tirò su e mi guardò severamente con le braccia conserte; tanto da sembrare un maestro che sopprendeva il suo alunno a dormire sul banco: come era successo una miriade di volte al sottoscritto d'altronde.

"Siamo in ritardo, Dean." disse, mentre mi alzavo e stiracchiavo.

Quel giorno aveva una maglia dei Metallica, precisamente dell'album Ride The Lightning; un classico.

"Lo so." risposi, ed aprii il borsone prendendo le prime cose che trovavo.

Quella mattina total black con anfibi, niente di particolare, un pò ispirato al punk di una volta.

"E comunque ti ho detto mille volte di smetterla." continuai in tono da rimprovero, guardandolo dritto negli occhi. "Un giorno mi farai incazzare davvero, George."

Lui abbassò lo sguardo colpevole, come se già sapesse a cosa mi riferissi. Soffermai il mio sguardo nuovamente sul suo polso, immaginando già cosa si nascondesse dietro quella bandana rossa come il sangue, e rossa come quei tagli che si provocava. Ogni tanto mi chiedevo come facesse un tipo intelligente e simpatico come lui ad essere così sciocco; o così pazzo da scambiare una malattia, un ossessione a dire il vero, con un'altra. Perchè di questo si parlava, di aver rinunciato all'anoressia per far spazio all'autolesionismo. Eppure per lui era tutto normale: sembrava strano pensare come ci scherzasse a riguardo, su come pensasse che la morte fosse un gioco. Ed era coraggioso a farlo, un coraggio tetro che lo spingeva a prendere una lametta e a tragliarsi la pelle.

Avevo una dannata paura di perderlo un giorno.

"Ci sto lavorando..." disse balbettando non appena finii di vestirmi e riprendemmo il contatto visivo.

"Vorrei davvero crederci, George, ma non posso."

Detto questo misi i libri di scuola in borsa e uscii da quella che era diventata la mia camera da letto. Scesi le scale ed arrivai in cucina, dove trovai tutti già pronti con zaini e tracolle. John aveva persino il borsone da basket per gli allenamenti pomeridiani.

Salutai tutti con la mano e presi un caffè veloce prima di uscire con gli altri ed andare alla fermata del bus. Caso volle che gli ultimi della fila fossimo io e George e che tra di noi calasse un silenzio che innervosì entrambi; tanto che non ci sfiorava neanche l'idea di guardarci. Difatti abbassai lo sguardo e notai le mie mani che da violacce erano diventate totalmente scure; quasi nere o marroni.

We'll find the happiness in the hell.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora