Homeless Pt.2 (157)

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Era Santo Stefano e Sirius ancora non si era deciso a rivelare la verità a colui che considerava un fratello. Aveva solo ammesso di aver avuto una discussione con i genitori e la signora Potter era stata ben felice di ospitarlo. Cercava di non pensare a casa. Al fratellino che si era lasciato alle spalle. Ai pochi ma buoni amici che aveva a scuola. All'ex fidanzata Marlene. Sicuramente non sarebbe più potuto tornare al prestigioso istituto che frequentava e già temeva il momento in cui avrebbe dovuto spiegare a James come mai non sarebbero più stati in classe assieme. Né nella stessa scuola. Ora le sue preoccupazioni principali non sarebbero più state che scherzi fare agli insegnanti, in che modo bullizzare, perché alla fin fine di questo si trattava, Mocciosus o come far tacere il migliore amico che, da quando avevano dovuto svolgere una ricerca in biblioteca, non riusciva a pensare ad altro che non fosse la giovane ragazza che li aveva aiutati a trovare i libri giusti. Avrebbe dovuto capire come sopravvivere al freddo, alla fame, all'assenza di cure mediche e a quegli snob amici dei genitori. Sapeva, infatti, come si comportavano con i senzatetto. Aveva sentito il padre far chiudere una mensa per poveri appena qualche giorno prima. Proprio per questo, almeno nei primi tempi, avrebbe dovuto prestare attenzione anche agli altri barboni. Dopotutto chiunque avrebbe riconosciuto il dolce pargoletto dei Black. Se già la gente dei bassifondi era disposta a tutto per accaparrarsi un pezzo di pane in più o il cappotto meno malmesso trovato nei cassonetti, chissà come lo avrebbero trattato... Dopotutto lui era un bel giovane in perfetta forma e con abiti signorili... Gli stessi abiti che, come fino a quel momento lo avevano portato ad essere trattato con estremo rispetto, così lo avrebbero tenuto al centro dell'attenzione, sì, ma non di quella di giovani fanciulle, ricchi mercanti e plebe che era tenuta a portare un, seppur falso, rispetto nei suoi confronti, bensì quelle di ladri, poveracci violenti e chi più ne ha più ne metta. Ma ora non doveva mostrarsi abbattuto. Non lì. Non con James. Lui lo conosceva per essere il ragazzino solare e allegro, in particolare se era da poco riuscito a far ammattire i parenti con qualche sua "innocente marachella", come ai due piaceva definirle. Così indossò gli stivali pregiati, fatti sì per scaldare, ma soprattutto per attirare l'attenzione e per durare giusto fino alla moda successiva, il cappotto elegante e i guanti in pelle, e uscì a giocare con la neve assieme al migliore amico, i giovani Weasley e Pettigrew, un ragazzino grassottello che faceva parte ormai da tempo del suo gruppo di amici.

Remus vagava per la città. Passato il Natale aveva deciso di non rimandare ancora il doloroso distacco dal padre così, nonostante l'insistenza dell'uomo, aveva messo assieme le sue poche cose ed era partito. Gli piaceva la città sotto le feste. Era sempre molto addobbata e riusciva a scaldarti l'anima di un particolare calore che però non riusciva a sovrastare il freddo che ti uccideva dall'esterno. Freddo accentuato dal pensiero che quella non era solamente una passeggiata intrapresa per osservare alle vetrine ciò che mai avresti posseduto, perché ormai non avevi neppure una casa e una famiglia ad aspettarti. Così Remus gironzolava senza meta. Sapeva già dove andare, varie volte gli era capitato di mangiare alla mensa dei poveri, mensa che era stata chiusa giusto il giorno prima dal signor Black, quindi conosceva molti senzatetto. Sapeva anche, però, che certa gente non è affidabile e che quindi non era il caso di farsela amica, così aveva deciso di rimandare il più possibile l'incontro e le domande con quelle persone. Certo, i poveri, spesso, hanno una bontà d'animo e un'umanità che difficilmente trovi in chi non ha mai conosciuto altro che una vita di agi, ma è anche vero che se stai morendo di freddo e fame, quasi sicuramente l'egoismo che prenderà possesso di te farà impallidire quello di qualsiasi ricco e nobile. È lo spirito di sopravvivenza. Meglio agli altri che a me. In pochi, una volta caduti nella povertà più totale, riescono a mantenere un animo puro. A questo pensava il giovane Lupin, mentre camminava per riscaldarsi. Quando alzò gli occhi si accorse che, perso nei suoi ragionamenti, era arrivato nella zona residenziale dell'alta società. Venne attirato da delle risa e delle urla di gioia e, preso da una nostalgia e una curiosità per qualcosa che non aveva mai potuto avere né osservare perché troppo occupato ad aiutare a portare pochi e preziosi soldi a casa, decise di seguirle, per trovare la fonte di quei suoni. Essi lo portarono fino ad una grande villa, contornata da un vasto giardino ricoperto di neve e delimitato da una bassa ed elegante ringhiera in ferro nero. Lì un piccolo gruppo di ragazzini, che dovevano avere circa la sua età, avevano dato inizio ad una vera e propria guerra di palle di neve. Remus avrebbe tanto voluto avvicinarsi, ma le sue impronte nella candida distesa che copriva tutto, gli parevano stonare anche solo lì, nel marciapiede, non come quelle dei giovani che lasciavano dietro di sé scie che, con i loro disegni, non facevano altro che abbellire il paesaggio. E rimase lì a guardarli ridere e divertirsi. Quasi non sentiva più il freddo. Poi iniziò a far buio e un uomo uscì dall'abitazione. Subito si mise a rincorrere in modo giocoso i ragazzini, fino a condurli all'interno della villa. Quando la porta si richiuse, Remus sentì nuovamente tutto il peso dell'inverno sopraffarlo, come fosse sempre stato lì, in agguato. Così, tristemente, si avviò verso i caseggiati abbandonati in cui si riunivano i senzatetto, per poi trovarsi un angolino in disparte che, da quel momento, sarebbe stata la sua casa.

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