Capitolo 58

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«Facciamo due passi?» chiede Alex quando la canzone è ormai finita e tutti hanno iniziato a parlare.

Mi alzo e lo seguo.

Alex inizia a mostrarmi i vari luoghi presenti nell'accampamento: la tenda dove avvengono le riunioni; una tenda gigantesca, a prima vista infinita, in cui si mangia; una tenda in cui dormono i bambini cui la guerra ha strappato i genitori. 

In quell'istante penso a Jessy, ma nemmeno il tempo di chiedere ad Alex dove si trova la bambina che la vedo passeggiare per mano con Gabriel.

«Ho ancora sonno.» piagnucola strattonando Gabriel dal pantalone. Lui la guarda e sorride.

«Vieni, birbantella. Andiamo a dormire.» dice prendendola in braccio. Sorrido di fronte a quella scena così dolce.

«Perché sorridi?» chiede Alex incuriosito.

«Fa' silenzio.» bisbiglio indicando Gabriel e Jessy ormai addormentata. Prima di allontanarmi, mi volto per guardare di nuovo quella scena così dolce. 

Gabriel mi sta fissando, ma non sorride. Ci scruta sempre più attentamente mentre ci dirigiamo in un luogo isolato, lontano da tutto il rumore che i soldati stanno facendo vicino al fuoco. 

Alex mette una mano sulla mia spalla e di nuovo avverto il dolore anche se, fortunatamente, riesco a nasconderlo.

«Quando non ti ho vista arrivare, ho rischiato di impazzire. Sarei corso da te se ne avessi avuto la possibilità.» mi confida amareggiato alzando lo sguardo alla luna piena. I suoi occhi sono lucidi. «Avrei voluto essere lì per proteggerti. Sicura di stare bene?»

«Sì. I miei compagni mi hanno protetta ed io ho combattuto senza timore perché sapevo che le persone a cui tengo non erano lì con me. Non riuscirei ad essere concentrata se tu o Debora o David foste al mio fianco. Penso che nessuno di noi lo sarebbe. Ci cercheremmo con lo sguardo. Io correrei da voi se qualcuno vi minacciasse rischiando sia la mia che la vostra vita. Sarei più ansiosa sapendovi con me piuttosto che lontano da me, soprattutto ora che la Mano Nera sa che sono qui.»

Alex sembra pensieroso. Non risponde, ma resta con gli occhi fissi su quell'immensa palla luminosa che è la luna. 

Penso che in fondo sappia che ho ragione. Dopotutto, questo è lo stesso motivo per cui Tom ha messo Mark in un gruppo diverso da quello di Debora, pur restando lui stesso a fianco della sorella. Provo ad immaginare tutte le missioni e i periodi in cui Debora e Tom sono stati lontani l'uno dall'altra.

Il loro legame è fortissimo e lo vedrebbe anche un cieco. Ora so perché in classe il suo sguardo era sempre verso la finestra. Probabilmente si sarà anche sentita in colpa, perché la sua missione era priva di ogni pericolo al contrario di quella affidata al fratello che rischiava la vita ogni giorno.

Rabbrividisco per un leggero soffio di vento che, penetrando attraverso il tessuto velato delle braccia, raggiunge la pelle. Il tempo qui sembra impazzire. Alcuni fiocchi di neve iniziano a cadere. Apro il palmo e aspetto che uno di questi si depositi lì.

«Non badare al tempo. Qui accadono cose che nel tuo mondo appaiono impossibili.» spiega sorridendo mentre ci alziamo per tornare indietro.

«Parli come se quello non fosse stato anche il tuo mondo.» rispondo di getto sentendomi offesa dal fatto che non abbia mai considerato la mia città come una possibile casa.

«Ho sempre vissuto con la consapevolezza che la mia patria era altrove, così come i miei cari.» risponde tristemente.

«Dove sono i tuoi genitori?»

«Sono morti poco tempo fa. Non ho potuto dire loro nemmeno addio o dare una degna sepoltura.»

«Mi dispiace, Alex... davvero.» rispondo senza sapere cos'altro aggiungere. In questi momenti è inutile cercare di chiedere o insistere.

«Hai visto?»

«Cosa?» chiedo guardandomi attorno.

«No, scema! Intendevo, beh... hai visto che siamo bravi a parlare anche come due semplici amici? Non lo credevo possibile.» ammette quando arriviamo davanti alle nostre tende. In effetti, ha ragione.

«Buonanotte, Alex.»

«Buonanotte, Aurora.»

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