Capitolo 33

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«Stai bene?» chiede poggiandomi sul letto. 

Mi si siede accanto e mi afferra le mani. Non so se quella che avverto è paura, ma mi fa sorridere. Penso che Debora si sbagli e che lui ci tenga davvero a me.

«Sì, grazie di avermi aiutata.»

L'adrenalina provata fino a qualche istante prima ora è scemata. Al suo posto, vi è un po' di imbarazzo nel ritrovarmi nuovamente sola con lui tra quattro mura. Penso allo scherzetto di Tom, al suo sguardo mentre si avvicinava. 

So che il suo intento reale non fosse quello di baciarmi, ma solo di spaventarmi e farmi capire che, se non imparo a difendermi e a reagire, chiunque potrebbe approfittarsi di un momento di incertezza per farmi fuori. Mi vengono i brividi al solo pensiero.

«Non ti ha fatto del male, vero?» ripete.

Sollevo per un momento lo sguardo verso Gabriel che sembra afflitto, prima di abbassarlo sulle sue mani che sono calde e grandi. 

Posiziono il mio palmo contro il suo. Le mie mani confrontate con le sue sembrano quelle di una bambina. Sono piccole, lisce e morbide. Le sue, invece, sono più ruvide e un po' callose, quasi come fossero quelle di un uomo che ha dovuto lottare tutta la vita pur di continuare a vivere. 

Desidero davvero che tu non sia un nemico.

E così, senza nemmeno rendermene conto, mi ritrovo a giocare con le sue dita e ad accarezzare ogni centimetro delle sue mani. Sento il respiro accelerare.

Gabriel cosa mi stai facendo? 

Mi sento confusa mentre avverto un lieve calore inondarmi il viso. Lui se ne accorge e mi osserva incuriosito.

«Non sono impazzita, lo giuro.» spiego sorridendo appoggiando i nostri palmi. «Il fatto è che le mie mani sono molto piccole e sottili rispetto alle tue... tuttavia, messe una accanto all'altra, sono più belle.»

«Secondo me sono più belle così.» afferma piegando le dita. 

È vero. 

Sorrido.

"Torna da me.", mi implora una voce nella testa. 

Sbatto le palpebre e guardo confusa Gabriel.

«Hai detto qualcosa?»

«No, perché?»

«Ho sentito una voce...» sussurro toccandomi la testa. «Sarà la stanchezza.» spiego mentre qualcuno bussa alla porta interrompendo quel momento di pace.

«Ecco dove siete! Gli allenamenti non sono ancora terminati. Dobbiamo andare dietro la villa.» ordina Mark sbattendo la porta.

«Se vuoi riposare, parlo con Debora.»

«No, grazie. Sto benissimo.»

Ci alziamo ed usciamo dalla stanza dove Mark ci aspetta ancora spazientito. Sento i muscoli fare male e riesco a malapena a muovere le gambe. Gli allenamenti giornalieri sono così stancanti che non ho la forza nemmeno di lamentarmi.

Sveglia all'alba per iniziare con esercizi muscolari, percorsi ad ostacoli, equitazione per stabilire un legame più forte con il nostro cavallo. Io ed Ares su questo non abbiamo problemi, perché è come se fossimo incollati o comunque uno parte dell'altra. 

Quando cavalco e sento il vento sul viso mi sento davvero viva. È come se stessi volando. Al contrario di me, Gabriel ha preferito non possedere nessun animale. 

Non sai che ti perdi.

Andiamo avanti così per un mese. Quando ogni mattina mi osservo allo specchio, mi accorgo di essere sempre più diversa. Ho le braccia e le gambe più forti. Anche gli altri sono cambiati. 

Quando guardo gli allenamenti di Alex e Debora resto a bocca aperta per la loro bravura. Debora è la più veloce tra tutti noi, seguita da Gabriel che è diventato il fenomeno del gruppo. 

Dà il massimo in tutto ciò che fa anche quando è stanco, senza lamentarsi. 

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