Capitolo 103

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Barcollante e con gli occhi rivolti verso il pavimento sporco di sangue, vengo trascinata da Gabriel che cammina davanti a me. La spada sempre pronta a colpire.

Alzo la mano e tocco le punte dei miei capelli che alla luce sono leggermente ramati. Se questi riflessi fossero più scusi, potrebbero sembrare tinti del sangue di coloro che ho ucciso o che sono morti a causa di Azrael. 

Uno strattone mi fa comprendere che mi sono fermata e che dobbiamo proseguire. Sono così stanca di camminare, così stanca di lottare. 

Faccio un respiro profondo e cerco di bloccare tutti i pensieri.

«Tutto bene?» domanda tristemente. Sa già la risposta, ma lo chiede ugualmente.

«A parte che ho condannato a morte moltissimi innocenti? A parte questo, tutto bene.»

Le parole escono da sole e subito mordo il labbro. Mi pento di aver detto queste cose perché, anche se so che è la verità, non è colpa sua. Sta cercando solo di tenerci in vita.

«Mi dispiace, Aurora.»

Mette una mano dietro la mia nuca e mi tira a sé.

Ormai i nostri abbracci sono così. Stretti, caldi e pieni di amore perché ognuno di questi potrebbe essere l'ultimo. Un tempo mi sarei lamentata per la mia vita monotona, ma ora vorrei semplicemente tornare ad essere una ragazza che va a scuola o al cinema con gli amici. Quando guardavo la televisione, la guerra appariva come un qualcosa di molto lontano. Anche se molti Paesi nel mio mondo sono in guerra, quest'ultima viene percepita come qualcosa di distante, come qualcosa che non ci appartiene. Ora la guerra è il mio mondo.

Penso ai bambini che hanno una vita davanti e non possono coglierla perché questa sfuma in un attimo. Guardo le tavole capovolte della sala da pranzo, i piatti in frantumi per terra, tende stracciate e macchiate di sangue. La sera prima avevamo ballato, parlato e riso. Ora la maggior parte dei presenti non è più in vita. 

Scorgo il viso di una cameriera che la sera prima versava da bere. È giovane, troppo giovane. Ha una mano poggiata su quella di un bambino. Avevano tutta la vita davanti, ma sono morti per colpa mia. Mi inginocchio e faccio scendere delicatamente le dita sulle loro palpebre per chiuderle.

Gabriel mi prende per mano ed insieme cerchiamo disperatamente Jessy. Non so se sia viva o morta. Non so dove si sia nascosta.

Poi un'illuminazione.

Mi fermo di scatto ed osservo Gabriel. La notte prima, quando l'avevamo messa a letto, l'avevo dovuta costringere ad allontanarsi dalla finestra. Stava guardando una struttura in legno non troppo distante.

«La stalla. Jessy è nella stalla!»

Gabriel ci riflette un po' prima di rivolgermi di nuovo lo sguardo.

«Dobbiamo solo capire come uscire di qui senza farci uccidere.» afferma prima che una serie di rumori rompa il silenzio. «Perfetto!»

«Sei veloce?» chiedo. Risponde con un cenno. «Corri!» urlo non pensando più al rumore che stiamo facendo e afferrando la sua mano. Non abbiamo più tempo. Un secondo in più potrebbe separarci per sempre da Jessy.

Insieme schiviamo i corpi di domestici, soldati, bambini. Una voce dentro di me mi spinge a non mollare proprio ora.

Una decina di soldati si sono accorti di noi e ci stanno dando la caccia. Avverto i loro passi farsi sempre più pesanti e vicini. 

Scorgo l'entrata della cucina e spingo Gabriel dentro, prima di entrare e bloccare la porta con un palo. 

Ci abbassiamo nell'istante in cui i soldati si avvicinano alla finestrella di vetro che sta nella parte superiore della porta. 

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