Varie risate in soggiorno attirano la nostra attenzione.
Debora, Alex, Tom, David e Mark sono tutti seduti intorno ad un lungo tavolo in quercia e stanno facendo colazione.
Gabriel li osserva confuso prima di voltarsi verso di me per ricevere qualche spiegazione ma alzo le spalle per fargli capire che non ne ho la minima idea. Un soldato ci fa posto e ci uniamo al gruppo.
«Ragazzi non pensavo di arrivare a tanto, ma mi manca la scuola.» sbuffa Mark piegandosi leggermente indietro con la sedia per poggiarla al muro.
«Sapevo sarebbe accaduto!» esclama Debora mentre, alzandosi di colpo, lascia cadere la sedia a terra e inizia a correre verso Mark che l'osserva confuso. «Amore sei impazzito, vero? O hai la febbre?» domanda preoccupata toccandogli la fronte per vedere se è calda. Scoppiamo tutti a ridere.
«Raccontateci com'era andare a scuola.» chiede un soldato mordendo una fetta biscottata.
«Vediamo un po'.» Mark inizia a strofinarsi il mento coperto da una leggera barba ma stranamente curata. Devo dire che i soldati non sono come li avevo immaginati. Sarà che non siamo ancora in un campo di battaglia e la guerra sembra così lontana da noi.
La guerra...
Non ho idea di come sia. Una cosa è leggere i libri di storia, un'altra è viverla sulla propria pelle. Pur verificandosi anche nel mio mondo, le guerre mi sono sempre apparse come qualcosa di distante forse perché non mi hanno mai colpito in prima persona.
Soldati armati, luoghi distrutti, donne che piangevano, bambini magri, uomini feriti, ma era come stessi guardando un film, come se quella non fosse la realtà.
Ora, invece, inizio ad avvertire la vera presenza della guerra e, mentre i miei amici scherzano per la prima volta da quando siamo qui, la mia mente inizia a navigare nel mare dei ricordi.
Mi sono sempre chiesta perché non siamo capaci di attribuire il giusto valore e la giusta importanza a persone e momenti se non nel momento in cui ci vengono portati via. E solo allora, ci rattristiamo perché vorremmo tornare indietro e riviverli.
Questo è quello che sta accadendo a me. La famiglia, le festività, le uscite con gli amici, l'ansia per i compiti in classe e tutte le idee che ci venivano in mente per copiare, le grida dei professori quando combinavamo qualche guaio. Tutti questi eventi che non vedevo l'ora finissero, ora mi mancano terribilmente.
Così come mi mancano mamma e papà...
Ogni sera prima di andare a dormire mi chiedo cosa stiano facendo, se stiano mangiando, se stiano cercando un modo per raggiungermi, se siano al sicuro. Troppe volte pensiamo che i momenti in loro compagnia possano essere infiniti ma, da un giorno all'altro, tutto cambia. Non ricordo l'ultima volta che ho dato un bacio a mamma o a papà; l'ultima volta che ho visto un film in loro compagnia o cose simili.
Tutti i ricordi sembrano ormai appartenere ad un passato che mi è sconosciuto, perché non pensi possa essere l'ultima volta, l'ultimo giorno. Pensi di avere tempo e poi ti rendi conto che il tempo non è stato abbastanza.
In preda a tutti questi pensieri, mi allontano da quelle risate che sono in contrasto con il mio stato d'animo. Debora fa per alzarsi ma si ferma appena vede Gabriel venirmi incontro.
«Vieni, ti porto in un posto.» sussurra prendendomi per mano e trascinandomi fuori. Come fossimo due ladri, superiamo il campo di tiro con l'arco e, scavalcato un recinto che non avevo notato, probabilmente perché coperto dagli alberi, giungiamo in un luogo molto distante dalla struttura. È in questo momento che mi rendo effettivamente conto di quanto sia grande questa terra.
«Non dovremmo essere qui.» protesto guardando in lontananza la villa che si fa sempre più piccola. «Se Tom lo scopre, sei nei guai ed io con te.» spiego cercando di riportarlo indietro, ma è inutile. È come se stessi parlando con un muro.
«Di cosa ti preoccupi? Siamo ancora all'interno della cupola protettiva. Debora mi ha detto che, per sicurezza, hanno ampliato il confine e non può attraversarlo o vederlo nessuno.»
«Non è una buona idea.» ripeto fermandomi nuovamente. Mi spaventa essere così lontana. Penso all'attacco nel bosco e mi chiedo se riuscirò a superare tutto questo.
«Ho capito. Non mi dai altra scelta.» si lamenta prendendomi di colpo in braccio. Inizia a camminare per la foresta con le mie mani saldamente ancorate al suo collo. Quando giungiamo nei pressi di un fiume, Gabriel si ferma.
«Dove siamo?» domando scendendo dalla sua schiena e correndo verso l'acqua. È così pulita che sembra che il cielo vi si stia specchiando. È come se terra e cielo fossero un'unica cosa.
«È il posto in cui mi sono nascosto la sera prima di ritornare nella macchina. Vengo qui quando ho bisogno di stare da solo... Aurora, devo dirti una cosa.»
«Cosa c'è?»
«È stato deciso che domani attraverseremo il portale per il loro regno. Perfezioneremo sul campo ciò che abbiamo imparato.» mi informa lasciandomi di sasso.
«Ma io non sono pronta!» sbotto furiosa. «Non ce la posso fare.»
Gabriel si avvicina e mi abbraccia. Sento le sue braccia avvolgermi quasi a creare uno scudo protettivo.
«Ce la farai. Io sono con te. Ho scelto di proteggerti, ricordatelo, e lo farò per sempre.» ammette baciandomi la fronte. Io chiudo gli occhi e inspiro la libertà che, per quest'ultimo giorno, ci avvolge.
Da domani tutto cambierà.
Stringo forte la maglietta di Gabriel.
Mamma, papà, aspettatemi. Un giorno tornerò da voi.
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Il risveglio della Fenice
Fantasy"Quello che sto per raccontarvi è vero, ma a voi verrà difficile credermi." Aurora non è ragazza come tutte le altre. È molto semplice, non le piace essere al centro dell'attenzione, farsi trascinare dalla corrente o dalle persone. Eppure, per quan...