Capitolo 20

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Quel giorno ero seduta come al solito accanto a Jill e l'ora di scienze mi sembrò meno interessante delle volte precedenti. La mia attenzione era molto scarsa, se non addirittura assente, e non riuscivo a resistere in quell'aula così piccola.
Mi sentivo soffocare.
Inoltre gli sguardi curiosi dei miei compagni di corso non mi avevano reso più semplice il ritorno a scuola.

Tutto il college ora sapeva chi fossi e cosa mi fosse accaduto, le voci di corridoio cominciavano già a farsi strada nelle menti di tutti ed io ero l'unica a sapere la verità.
Io e lo stalker eravamo gli unici.

Ero rimasta per una settimana in ospedale ad affrontare la convalescenza e dopo aver ricevuto quel messaggio mi resi conto che tutta quella situazione mi stesse cambiando dall'interno. Oramai non riponevo più fiducia in nessuno, mi sentivo costantemente terrorizzata da quegli occhi invisibili ed ogni mia mossa sbagliata mi veniva segnalata tramite SMS. Io non volevo giocare, volevo solamente arrendermi o finire questo per poi vivere la mia vita in tranquillità.

In quei due giorni avevo incontrato tutti i tipi di occhiate: da quelle curiose a quelle invadenti, da quelle infastidite a quelle disprezzanti.
Ovunque venivo scrutata, come se qualcuno potesse realmente leggermi dentro la verità.
Di certo non era stata colpa mia se ero stata raggirata da un abile manipolatore. E chi mi diceva che tra quegli sguardi non ci fosse il suo? Chi mi assicurava che anche lui, mi avesse guardato con disprezzo come molti?

Ad un tratto sentii Jill scuotermi la spalla con veemenza, mi girai rapidamente verso di lei, risvegliandomi dalla mia realtà alternativa.

"Cosa-" mi interruppi, accorgendomi dello strano silenzio che stava regnando nella classe in quel momento.

Mi guardai immediatamente attorno e mi resi conto di avere tutti gli sguardi puntati contro di me, tra questi ne faceva parte anche quello dello stesso professore che aveva il gesso nella mano bloccata a mezz'aria.

In un primo momento rimasi sconcertata, non capivo cosa fosse accaduto e non capivo il motivo dell'eccessiva attenzione che mi era stata riservata. Tutti quegli sguardi mi incussero una certa ansia. Poi spostai i miei occhi sul banco occupato dalle mie penne e dal quaderno degli appunti, e solo allora me ne accorsi.

Avevo completamente distrutto la penna di plastica che stringevo tra le mani ed i suoi pezzi erano sparsi ovunque sul tavolo in legno.
Alzai lo sguardo e tutti ancora mi fissavano con costanza. Volevo solo che smettessero.

"Io non-" provai a dire, ma lo sussurrai e solo Jill mi potè sentire "Io non volevo." dissi impaurita dall'improvviso gesto violento e incontrollato da me compiuto.

"Non fa niente." sussurrò a sua volta la mia amica che, cercando di calmarmi, non riuscì nel suo intento. La sua espressione era dispiaciuta per me, immaginava il mio stato d'animo, ma in realtà era peggiore di ciò che tutti avessero mai potuto pensare.

Nessuno accennò a muoversi o distogliere lo sguardo, così, completamente imbarazzata e terrorizzata, afferrai il mio zaino e il mio quaderno e fuggii letteralmente dall'aula. Prima di uscire udii un rumore stridulo che segnò lo spostamento improvviso di una sedia e la voce di Jill che mi chiamò invano.

Richiusi la porta alle mie spalle e sospirai nervosamente, prima di cominciare a piangere con l'intenzione di dirigermi nei bagni della scuola.
Le lacrime rotolavano sulle mie guance silenziosamente mentre tiravo su con il naso.
Io ero l'unica ad emettere dei rumori nel corridoio deserto della scuola. Le mie mani tremavano e non capivo come avessi potuto rendermi un'ora di scienze così raccapricciante.

Ad un tratto mi si presentò davanti il preside, pensai ironicamente alla fortuna che avevo avuto ad imbattermi in lui. Sapevo che dopo quell'incontro non me ne sarei potuta andare tanto presto, mi avrebbe trattenuta. Quell'uomo era furbo e ambizioso, conosceva esattamente le sue intenzioni e voleva portarle a termine.

"Signorina Colbay." disse a mo' di saluto, prima di accorgersi che non fossi di buon umore "Come mai piange?" si fermò per fissarmi con le sopracciglia aggrottate.

Non risposi, non vi riuscii. Il mio sguardo puntato distrattamente sul colletto della sua camicia.
L'uomo estrasse dalla tasca un pacchetto di fazzoletti che mi porse gentilmente e con cui mi potei asciugare le lacrime.

"Cosa è successo?" domandò, cercando di intercettare il mio sguardo.

"Io non...non c-ce la faccio a stare a scuola. T-tutti mi fissano e-ed io vorrei solo potermi...riprendere senza essere forzata. Voglio solo un po' di tranquillità." balbettai in un sussurro per poi guardare l'uomo il quale mi invitò ad entrare nel suo ufficio per parlare dell'accaduto.

"Signorina, la prego, non pianga. Lo sa che gli studenti di questo istituto non hanno cattive intenzioni nei suoi confronti? Sono solo curiosi di sapere...la sua storia. Tutti sappiamo che lei non è stata molto bene nell'ultima settimana..." pronunciò queste parole con calma mentre io lo guardavo dall'altro lato della scrivania, seduta su di una comoda poltroncina.

I suoi capelli ormai bianchi spiccavano nell'arredo scuro di quella camera.

"Me lo conferma?"

"Sì, io-" mi interruppe con un garbato gesto della mano che poi riportò accanto all'altra, sulla scrivania.

"In questi giorni stanno girando molte voci nella scuola, molte versioni diverse e nessuno sa a cosa credere. Sono tutti un po' restii nei suoi confronti, ma non è certamente per colpa sua...anche se preferirei che lei mi raccontasse ciò che è accaduto veramente. Le persone sono spaventate da ciò che le è accaduto semplicemente per il fatto che sarebbe potuto capitare anche a loro."

Annuii, sentivo che era arrivato il momento di parlare, il momento di provare a raccontare la verità. In quella storia, lo stalker avrebbe preso l'identità di qualcuno che non conoscevo e che mi volesse probabilmente fare del male.

"Lei si trovava ad una festa, la festa di un suo amico, un certo Lucas, se non sbaglio. Si svolgeva di sera durante il weekend." mi guardò incerto ed io annuii.

"Sì, eravamo tutti alla festa del suo compleanno, ricordo che era veramente molto affollato." affermai, aggiungendo futili dettagli che probabilmente sarebbero anche stati ritenuti pleonastici.

"Mi racconti pure cosa è accaduto, prego." mi invitò con un movimento della mano.

"Hem...mi scusi l'interruzione, ma volevo sapere se per lei questa è pura curiosità o è per altri scopi..." fui sincera, anche se lo dissi a voce bassa.

"Oh beh, in realtà pensavo di poterlo raccontare anche gli studenti della scuola ed ai professori. In questo modo lei non si sentirà in soggezione e..." lasciò la frase incompleta.

"...e la reputazione della scuola sarà salva." la completai correttamente e lui annuì.

"Prima di iniziare posso farle una domanda?" mi feci coraggio.

"Certo, mi dica." disse tranquillamente.

"La leggenda su Ray Evans, non so se la conosce, ma-" venni interrotta.

"Oh no, quella è una storia di molti anni fa...mi sembra che ne siano passati dieci..." disse ed io rimasi stupita dal così tanto tempo trascorso "Comunque io ancora non ero direttore di questo istituto, perciò non saprei cosa dirle a tal proposito." concluse ed io mi distrassi qualche secondo a pensare.

"Ora può raccontarmi la sua storia?" chiese gentilmente.

"Sì, certo." dissi prima di guardarlo negli occhi e cominciare.

Fallen In FloridaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora