Capitolo 30

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L'aereo era già in fase di atterraggio e dal finestrino potevo vedere il buio che si stagliava sulla città. Le luci che viste da quella altezza sembravano minuscole, ora si stavano pian piano ingrandendo, perdendo gran parte della loro meraviglia.
Ci trovavamo ad attraversare le nuvole, quando la vista dal finestrino divenne più chiara.
Dentro l'aereo la temperatura era confortevole e le luci calde sembravano soffuse; infatti il colore beige era predominante, poiché comprendeva sia le pareti che i sedili.
Il viaggio era durato circa otto ore ed ormai era già sera a Londra.

La tristezza mi era stata accanto fino a quel momento e sapevo che ritornare nella città in cui ero nata ed avevo vissuto fino a qualche mese prima, mi avrebbe arrecato solo malinconia.

Conoscevo ogni strada ed ogni traversa del mio quartiere, ogni luogo portava con sé un ricordo, ma ormai tutto era cambiato.
Quando ero piccola avevo i miei migliori amici e giocavamo insieme innocentemente, adesso invece vivevamo in paesi differenti ed avevamo molti più problemi.

Solo l'aspetto di quel quartiere era rimasto simile da anni e ciò era leggermente inquietante.
Eravamo noi a cambiare, i nostri luoghi preferiti continuavano ad essere come sempre e portavano solo dei piccoli segni del nostro passato; come se non fossimo mai stati lì.
Poi un giorno ci avrebbero dimenticato, tutto sarebbe variato ed il nostro ricordo sarebbe svanito in polvere.

Una voce elettronica mi risvegliò dai pensieri, ricordandomi di essere atterrati.
Slacciai la cintura e mi alzai dal sedile, lasciando scivolare via dal mio corpo tutta l'ansia che avevo accumulato fino a quel momento.
Tirai la valigia dal vano sopra la mia testa e la appoggiai sul pavimento, cominciando ad incamminarmi verso la scaletta per uscire dal mezzo.

Nella valigia avevo messo l'essenziale e qualche vestito pesante: conoscevo fin troppo bene la temperatura del luogo in questo periodo.
Durante il viaggio in aereo mi ero cambiata, indossando indumenti che mi avrebbero scaldata maggiormente.

Scendendo dalla scaletta, notai le luci luminose che facevano brillare l'accogliente aeroporto di Londra. Il cielo aveva un colore più chiaro e da lì, attraverso le finestre, era possibile vedere la gente affollata all'interno dell'aeroporto. L'ultima volta che mi ero trovata in quel luogo era stata alla mia partenza per raggiungere la Florida.
Appena giunsi con i piedi sull'asfalto, un vento gelido e umido mi investì, facendomi rabbrividire dolcemente.

Quante volte ero stata sfiorata in quel modo da quell'aria? Così tante da poterla immaginare e farmi provare brividi anche con trenta gradi estivi.

Dopo pochi secondi un autobus si fermò accanto alla folla, invitandoci a salire per poter raggiungere la zona taxi.

Mi sedetti nei posti centrali accanto al finestrino, gelando al contatto con il sedile in plastica. Notai come il vetro accanto a me riuscisse ad appannarsi così rapidamente, nonostante non vi avessi soffiato sopra. Era bastato il calore che portavo dentro di me.

Pensai spaventata che un giorno avrei potuto dimenticare le caratteristiche della mia città.
Ero abituata a questo genere di freddo, quel freddo umido che ti entra nelle ossa e non te lo fa dimenticare tanto facilmente, ma sapevo che anche questo sarebbe potuto accadere.

Eravamo pochi su quel piccolo autobus ed il silenzio incombeva tra di noi.
Un velo di estraneità ci separava e la riservatezza non ci permetteva di intrattenere una conversazione, l'egoismo invece era il fattore determinante.

Potevo immaginare la stanchezza di quelle poche persone che mi circondavano.
Avevano tutti delle facce atone, compresa me, e nascondevano i loro pensieri travagliati, cercando di distrarsi in modi differenti.
Ci stavamo estraniando dalla realtà.

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