Capitolo 94

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Quando mi svegliai, mi resi conto di trovarmi per l'ennesima volta nella stanza da cui ero scappata.
Cominciai a sospettare che in realtà non mi fossi mai allontanata dalla struttura originaria in cui ero stata rinchiusa dal primo giorno della mia prigionia.
A quanto pare mi trovavo in un luogo abbastanza vasto, pieno di stanze collegate da corridoi.
Forse mi avevano spostata in un'altra ala di quell'edificio - o qualunque cosa fosse -.

Ero sdraiata sul materasso, ma stavolta ero legata con delle catene ai polsi e alle caviglie.
Esse erano bloccate nella fascia bassa del muro ed erano molto più lunghe rispetto a quelle con cui ero stata bloccata alla colonna solo poco tempo prima.
Ora potevo alzarmi e camminare fino a circa due metri di distanza.

Almeno i muscoli non si sarebbero intorpiditi ulteriormente.

Un dolore lancinante provenne dal lato destro della testa.
Sfiorai la tempia con le dita e mi accorsi di essere ferita: i polpastrelli erano sporchi di sangue.

Sospirai nervosamente.

In quel momento sperai solamente di non aver subito gravi danni interni. Forse il colpo mi aveva ferita solo esternamente, del resto non era di certo stato qualcosa di delicato.

Provai ad alzarmi e a tirare le catene per cercare di liberarmi.
Ovviamente oltre al rumore del ferro non ottenni risultati.

Dopo svariati minuti cominciai ad udire del trambusto oltre la porta.
Ero seduta sul materasso quando ad entrare nella stanza furono in tre: Ray, Lucas e mio padre.

Ero incredula.
Quanto tempo era trascorso dall'ultima volta in cui ero stata cosciente?

Ormai questa domanda era divenuta quotidianità per me.
Ma questa volta potei rispondermi da sola: di certo non ero stata priva di sensi per più di due ore.
La luce entrava dalle piccole finestre allo stesso modo della volta precedente, perciò il sole non era sceso di molto verso l'orizzonte.

"Papà." mormorai mentre gli occhi mi divenivano lucidi.

Mi alzai continuando a fissarlo.

"Oh mio Dio, Nicole." mi guardò con preoccupazione e pena.

Sicuramente avevo un aspetto orribile, ero lì da almeno una settimana.

Mio padre fece per avvicinarsi, ma Ray lo trattenne tenendolo per le spalle.
Eravamo ad almeno cinque metri di distanza.

"Ti conviene restare qui." affermò il ragazzo con un tono spaventoso.

"Papà devi andare via, è una trappola, ti uccideranno." dissi tremando.

La sola idea che gli potessero fare del male mi faceva venire il voltastomaco.

"Sono venuto qui per te, non andrò via." affermò deciso.

Egli mi continuò a squadrare, probabilmente era incredulo.
Ray lo lasciò andare, ma mio padre rimase fermo sul posto.

"Ti hanno fatto del male?" chiese titubante, nonostante la domanda fosse retorica "Voglio dire, stai meglio?"

"Sto meglio rispetto a qualche giorno fa..." mormorai "Come stanno gli altri?" domandai riferendomi a mia madre e ai miei amici.

"Beh, puoi immaginare..." parlò non riuscendo a trovare parole per esprimersi "...non ci credo di essere qui con te." fece un sorriso triste.

Lacrime non invadenti mi stavano solcando il volto: ero felice di essere con mio padre.
Dopo le ultime volte che ci eravamo visti il nostro rapporto si era incrinato.
Non lo vedevo o sentivo da mesi ormai.

"Mi dispiace per tutto questo." sospirò.

Non dissi nulla: non potevo perdonarlo per avermi condannato a quell'orribile situazione, ma in quel momento era lì.
Apprezzavo il fatto che fosse giunto in quel luogo, nonostante sapesse di essersi messo in pericolo.

Dimostrava di volermi bene anche se negli ultimi tempi ci eravamo allontanati molto.

Semplicemente annuii.

"Papà io...devo chiederti una cosa." lanciai uno sguardo a Lucas "Veramente hai abbandonato...mio fratello?" domandai stranita.

Non avevo mai nominato in tal modo il ragazzo che era stato mio amico, ma che al momento mi teneva segregata in un luogo sconosciuto.

Mio padre sospirò affranto.

"Non è esattamente così, ma so che le parole non cambieranno nulla." affermò, guardando Lucas.

"Io vorrei capire cosa sia successo.
Vorrei almeno una spiegazione per questa situazione in cui mi avete catapultata." affermai con veemenza.

Il tintinnio delle catene riecheggiò nella stanza mentre fissavo i tre con agitazione.

"È una storia lunga..." mormorò mio padre.

"Abbiamo molto tempo per parlare e chiarire una volta per tutte." affermai risoluta.

Mi guardò insicuro per qualche istante, ma non avevo intenzione di lasciar cadere l'argomento.

"Bene..." sospirò "Io e Cara non abbiamo abbandonato Lucas-" cominciò, ma subito venne interrotto.

"Io me ne vado." sospirò mio fratello.

"No, resta." mio padre lo fermò, ponendosi davanti al suo cammino.

"Hey mantieni le distanze." intervenne Ray.

"Ray, voglio solo parlare con i miei due figli." fece spallucce mio padre.

"Come sai il mio nome?" chiese quello stranito "Lucas non mi ha mai nominato da quando sei qui."

"Beh...è una storia lunga.
Lasciate solo che vi racconti tutto."

Io, Lucas e Ray ci scambiammo uno sguardo: il nostro silenzio spronò mio padre a parlare.

Fallen In FloridaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora