Capitolo 87

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Una sensazione di freddo proveniva dalla mia guancia sinistra.
Mi infastidiva, ma non riuscivo a capire da cosa fosse dovuto.

Dopo poco il mio corpo cominciò a risvegliarsi.

Quando capii di essere sdraiata, mi girò improvvisamente la testa e d'istinto mi sedetti.

Il battito era accelerato, il respiro corto e mi affliggeva un senso di terrore che inizialmente non mi riuscii a spiegare.
Bastarono pochi secondi prima che mi ricordassi cosa fosse accaduto.

Sospirai, mentre della nausea si era aggiunta al mio malessere.

D'un tratto mi resi conto di non provare quasi per niente del dolore, a parte un mal di testa lancinante.

Aprii gli occhi e notai che stessi indossando degli abiti più coprenti.
Avevo dei jeans scuri e molto larghi, stretti da una cinta che risultava anch'essa non essere della mia misura.
Oltre alla canottiera, ora avevo una giacca molto più grande di me di un colore scuro.

Strinsi gli occhi, appoggiando una mano sulla fronte...avevo la febbre?

Dopo qualche istante mi guardai attorno: era tutto buio, non riuscivo a vedere molto.
Capii solo di non essere più legata a delle catene, ma piuttosto rinchiusa in una gabbia.

Respirai pesantemente.

Non capivo cosa stesse succedendo...dove mi trovavo? Perché ero stata rinchiusa come se fossi un animale?

"Ray!" gridai improvvisamente.

Rimasi in silenzio ad ascoltare la mia voce fare eco in quel luogo.
Di sicuro non mi trovavo più dove mi ricordavo essere poco prima di venire stordita.

"Lucas!" gridai ancora, non sapendo cosa fare.

Avevo paura.
Che fine avevo fatto?
Ero stata abbandonata a morire da sola? Era giunta la fine?

"Vi prego, rispondete!" gridai per l'ultima volta, non ottenendo risposta.

Trascorsero parecchi minuti prima che mi accucciassi in un lato della gabbia.

Provavo freddo, ma di meno rispetto a pochi giorni prima.
I polsi erano doloranti, del resto tirare quelle catene non mi aveva di certo giovato.
I piedi erano nudi e stavo provando a scaldarli, tenendoli vicini tra loro.

Supponevo che i vestiti che stavo indossando, appartenessero ai due stalker.
Non capivo il motivo per il quale mi trovassi lì, ma immaginavo che fosse per disperdere le proprie tracce.
Mi chiedevo quanti giorni fossero trascorsi dalla mia sparizione.

Spaventata era dire poco: la mia mente aveva cominciato nuovamente a torturarmi.
Rimuginavo sempre sullo stesso pensiero, la morte.

Avevo sfiorato il sonno eterno, ma poi mi ero risvegliata bruscamente.
Sinceramente non mi sarei aspettata di rinvenire, pensavo che sarei deceduta dopo l'iniezione.
Anche se in un certo senso non potevo aver pensato, non essendo cosciente.

La sensazione era come se una volta 'tornata in vita', tutti i ricordi e i pensieri accumulati fossero rinvenuti con veemenza e quindi trasmettendomi emozioni molto profonde e forti.

Ad un tratto udii un rumore in lontananza.

Mi allarmai, rimanendo in silenzio ad ascoltare.
Dopo qualche secondo potei riconoscere dei passi che si stavano avvicinando.

Provai a guardare nella direzione da cui il suono proveniva, nonostante il buio mi limitasse la vista.

Improvvisamente non riuscii più a riconoscere quella camminata, il mio cuore fece un balzo.
Non sapevo se parlare o meno, se nascondermi per quanto potessi o espormi per chiedere aiuto.

Dopo qualche istante potei riconoscere il rumore di una porta, un cigolio invase il luogo dove mi trovavo.

Ormai respiravo a scatti a causa del freddo e della paura, mi sembrava di trovarmi in un film dell'orrore.
Peccato che quella fosse pura realtà.

Mi tappai la bocca con una mano, temendo che qualche grido o suono potesse involontariamente lasciare le mie corde vocali.
Provai a stabilizzare il mio respiro, ma stava risultando essere difficile.
Non riuscivo a sopportare una situazione del genere.

Mi accorsi troppo tardi che ormai quei passi fossero troppo vicini a me.
Ormai pochi metri di distanza ci separavano, sentivo uno sguardo su di me.
Indietreggiai impercettibilmente, provocando un fruscio tramite il contatto dei jeans con il pavimento.

Poco dopo udii il rumore di una serratura di un lucchetto, qualcuno stava aprendo la gabbia.

Finalmente egli entrò nel mio raggio visivo, ma non smisi di tremare.
Non avrei più smesso di tremare dopo quell'esperienza.

"Stammi lontano..." mormorai quasi piangendo.

Lo vidi entrare nella piccola cella e chiudere la porticina alle sue spalle.
Mi fissò in silenzio per vari secondi, odiavo quella sensazione.

Quando fece un passo avanti, mi alzai e indietreggiai rapidamente, spingendomi il più lontano possibile da lui e arrivando a toccare i confini di quella gabbia.
Non potevo spingermi più indietro, ero schiacciata contro la parete.

Egli fece un ulteriore passo verso di me.

"Non ti avvicinare a me..." mormorai ancora invano.

"Le tue parole non cambieranno nulla." affermò quello e avanzò ancora, a piccoli, lenti e strazianti passi.

Deglutii a fatica.
Avrei preferito essere da qualunque altra parte, tranne che lì con lui.

"Fingi continuamente di non avere paura di me..." considerò "...ma ora che sei vulnerabile non ci riesci, è così?" chiese a pochi centimetri di distanza da me.

Stavo provando ancora a rimanere in silenzio, ad essere forte e non lasciare che trapelassero le mie emozioni.
Ma non riuscivo più a farlo, ormai ero stata rapita da giorni e non sopportavo quell'esistenza così sofferente.

"È così?" ripetè, ma continuai a non rispondere "Non farmi incazzare." mi avvertì a denti stretti.

"L-Lucas..." provai a dire, ma la voce tremolante mi tradì.

"Non farmi incazzare!" gridò improvvisamente, colpendo una delle pareti della gabbia con la mano, giusto accanto alla mia testa.

Sobbalzai terrorizzata.

"Non ce la faccio più..." affermai "...ti prego, basta." lasciai uscire gran parte della disperazione che stavo reprimendo.

"Abbiamo appena cominciato, principessa."

Fallen In FloridaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora