Capitolo 40

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Quando aprii gli occhi mi sentii confusa.
Ero terrorizzata, non sapevo dove mi trovassi e non riuscivo a ricordare cosa fosse accaduto.

Vidi un soffitto bianco e mi resi conto di trovarmi sdraiata, in un luogo che non conoscevo.

Cominciai a respirare velocemente e mi tirai su, mettendo i gomiti sotto di me.
Vidi una figura avvicinarsi velocemente a me.

"Ragazza, stai calma, ti trovi nell'infermeria del dormitorio, sei svenuta, ma ora stai bene." disse una donna rapidamente accanto a me.

Assimilai presto quelle parole e subito mi calmai, tornando a sdraiarmi sul lettino.

Rimasi in silenzio per qualche minuto, poi parlai.

"Da quanto tempo mi trovo qui?" domandai ansiosa.

"Sei svenuta da circa venti minuti." rispose alla mia vera domanda a cui pensavo non ci fosse una spiegazione attendibile.

Sospirai.

"Ti hanno portato qui le tue amiche. Ora sono andate ad avvisare qualcuno da quel che ho capito." parlò ancora la donna.

"Perché sono svenuta?" chiesi ancora spiegazioni.

"Apparentemente non sembra che tu abbia nulla di grave. È solo stress." affermò.

"Va bene." respirai a fondo.

"Come può una ragazza della tua età essere così stressata da sentirsi male? È solo per la scuola?" indagò.

"No, ho un vita complicata, più di quanto lei immagini." decisi di sedermi.

"Come mai? C'è qualcosa che ti turba?" chiese ed io annuii titubante.

"Varie cose. Mi trovo in una situazione strana, che non capita a tutti."

Mi sentivo meglio.
Rimasi appoggiata con la testa al muro fresco e seduta sul lettino ricoperto da una specie di scottex.

Ad un tratto la porta si aprì di scatto ed entrò Jason che subito corse ad abbracciarmi.

"Mi hai fatto spaventare tantissimo." sussurrò mentre io tenevo gli occhi chiusi.

"Lo so, mi dispiace." affermai.

Ero ancora seduta sul lettino, mentre lui era in piedi. Anche in quel momento lui era più alto di me che mi trovavo a un bel po' di altezza dal pavimento.

"Avrei dovuto capirlo che ti saresti sentita male, avevi un'aria veramente distrutta." affermò.

"Grazie del complimento." ridacchiai per rassicurarlo sul fatto che mi sentissi meglio.

"Non ti basta riposare occasionalmente, domani non andare a scuola. Questo viaggio ti ha stancata troppo, non voglio preoccuparmi." propose.

Sciolse l'abbraccio e si girò verso l'infermiera.
Nel frattempo notai le mie amiche e Lucas che mi fissavano preoccupati.

"Cosa le è accaduto?" domandò e cercai di non sentirmi in ansia per la risposta che la donna avrebbe potuto dare.

"È stanca, suppongo sia a causa del viaggio e il leggero jet lag. Nicole me lo ha raccontato." mentì ed io probabilmente assunsi una faccia confusa.

"Beh otto ore e mezzo fanno la differenza..." commentò Jason.

"Ragazzi, se volete potete andare, lei sta bene. Solo tenetela d'occhio e statele accanto." si raccomandò la donna a cui avevo raccontato che la mia vita era diversa dalle altre.

Non ritenevo che avesse capito precisamente quale fosse il problema, lei parlava in generale e non era affatto allarmata.

Scesi dal lettino e Jason appoggiò il braccio sotto il mio, circondandomi la schiena, per 'trascinarmi' praticamente in camera.

"Grazie." disse Jill a bassa voce.

Uscimmo tutti e nessuno parlò, notai che, prima di chiudere la porta, la donna mi fece l'occhiolino sorridendomi.

Sicuramente non aveva capito.

Lasciai fare a Jason il gentiluomo in modo da non far sentire impotente almeno lui.

Una volta giunti in camera nostra, Jason mi appoggiò sul letto di Jill la quale non obbiettò, ma piuttosto mi disse di riposare.

"Jason non ho sonno, adesso sto bene, davvero." dissi con un sorriso.

Gli presi la mano e la strinsi.

"Ragazzi dai, non fate così, non ho mica rischiato di morire." fu in quel momento che mi resi contro di aver fatto una gaffe.

Una volta avevo rischiato di morire e loro mi erano stati tutti accanto.
Era ovvio che si preoccupassero così per me.

"Scusate." dissi a bassa voce.

"Domani a scuola non ci vai, è chiaro?" chiese Jill con fare autoritario.

"Jill, non è stato nulla. È colpa del jet lag e dello sbalzo di temperatura. Poi mi sono anche stancata."

"Nicole, non si sviene solo per questo." disse con tono duro.

"Ultimamente ero stanca, sono arrivata al limite e l'ho superato." continuai a dare scuse.

"Non dovresti stancarti così tanto, potevi concederti qualche giorno di riposo, non mi sembra che tu abbia mai fatto numerose assenze." intervenne anche Nora.

Gioii ironicamente tra me.

"Ragazzi, non voglio preoccuparvi, ma ora sto bene. Sul serio, solo un po' spossata, ma nulla di grave." cercai di convincerli, ma tutti avevano un'espressione così dura da mettermi in soggezione e farmi sentire in torto.

Un lampo di tristezza e solitudine mi attraversò, rendendomi timorosa.

In qualche modo continuavo a dubitare di loro e della fedeltà che assumevano nei miei confronti.
Non ero convinta a pieno che loro fossero innocenti nella mia perseguitazione, ma del resto non potevo esserlo di nessuno.

Per quello che mi riguardava potevano essere anche i miei genitori ed io non lo avrei nè capito nè scoperto.

"Va bene, mi concederò un giorno per riprendermi." confermai prima di sospirare la frustrazione dovuta ai miei pensieri pesanti.

"Ragazzi tornate ai vostri programmi, giuro che resterò in camera." dissi dolcemente e subito tutti persero quelllo sguardo duro.

Jason era stato l'unico a rimanere completamente preoccupato, al contrario degli altri che avevano avuto due fasi di reazione.

"Resto io con lei, voi andate, veramente." Jason rassicurò tutti.

Jill sospirò rumorosamente e camminò per qualche secondo nella stanza, poi cominciò a prendere le sue cose.

"Va bene è stata solo stanchezza, se lo dici tu, io ci credo." mi disse Jill e desiderai sotterrarmi.

Perché sapevo che in un certo senso stavo mentendo.
Perché avevo pensato che lei volesse farmi del male.
Perché lei si fidava di me ed io di nessuno.

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