Capitolo 39

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Durante il resto del tempo trascorso in quel bar rimasi in silenzio a meditare.
Jason era il mio fidanzato, mi era stato accanto in ospedale ed era riuscito a farmi svegliare, era stato con me anche in spiaggia e al cinema, quando vidi lo stalker di persona.

Ma dopotutto, chi diceva che lo stalker non avesse un complice?
Nora, Jill, Jason e Lucas potevano essere il maniaco.
Avevano tutti un alibi, ma non avrei potuto sapere nulla a proposito di un aiutante.

Per loro sarebbe stato anche più facile colpirmi, erano i miei amici e con loro trascorrevo la maggior parte del tempo e gli raccontavo quasi tutto.
Ma noi tutti sapevamo quasi ogni cosa a proposito dell'altro.

Se uno di loro era lo stalker, voleva dire che era dotato di un'abilità superiore a ciò che potessi pensare.

In fondo nulla di loro mi poteva far sospettare un qualsiasi legame con il maniaco.
A parte il soprannome datomi da Jason quel pomeriggio, ma sicuramente era stato un caso.

Giunsi alla conclusione che comunque doveva esserci un complice, non poteva essere solo uno a fare tutte quelle cose orribili.
Uno si trovava a Londra a spiare Clare e Jack, l'altro era a Miami per controllare me.

Questo era ovvio, almeno per me.

Io intanto ero di nuovo senza alcuna prova a cui aggrapparmi.
Come sarei riuscita a trovare due persone che come hobby avevano quello di celare le loro mosse?
Impossibile per me riuscirci.

Dovevo controllare ciò che mi ero appuntata, volevo aggiungere gli ultimi accaduti del weekend e le idee che mi erano balenate nella mente durante quei minuti.

"Ragazzi, io torno ai dormitori, scusate ma sono stanca." annunciai prima di alzarmi e uscire immediatamente dal locale, senza dare il tempo a qualcuno di rispondere o dire qualcosa.

Appena giunta all'esterno, una folata di aria calda mi investì in pieno, facendomi mancare il respiro che già era accelerato.

Non riuscii subito a respirare e ciò mi mandò in panico. Mi appoggiai alla struttura con una mano, cercando di riuscire a far entrare aria nei polmoni, poi sentii una mano posarsi sulla mia spalla.

Quel gesto mi spaventò così tanto da farmi tornare a respirare. Mi girai, trovando la figura di Jason con un volto preoccupato.

"Nicole stai bene?" chiese, prendendomi il braccio per sostenermi.

"Sì, solo...non lo so, non tanto. Sono sicura che riposando tornerò come nuova." lo rassicurai.

"Ti accompagno io." si offrì.

"No, tranquillo, ce la faccio. Resta pure a divertirti con loro, te lo meriti." a quella affermazione mi guardò confuso.

Probabilmente le ultime parole per lui non avevano un senso, ma per me sì.

Mi allontanai rapidamente in modo che non potesse obbiettare, ma dopo qualche metro sentii la sua presenza accanto a me.

Sorrisi.

"Jason." lo chiamai, dolcemente.

"Dimmi." si avvicinò di più a me.

"Lo sai che ti voglio bene, vero?"

"Sì, anche io te ne voglio. Sei la persona a cui tengo di più, farei di tutto per te."

Forse sembrerà che il nostro fosse un modo per non dire di essere innamorati, ma non era affatto così. Perché non puoi amare una persona senza volerle bene.

"Ti amo tanto." mi strinsi a lui, che ricambiò, appoggiando un braccio attorno alle mie spalle

Era la prima volta che glielo dicevo.

"Anche io ti amo, Nicole."

In quel momento lo fermai bruscamente e lo presi per la maglietta, avvicinandolo a me per baciarlo.
Non ci trovavamo ancora dentro i dormitori ed il parco creava un'atmosfera rassicurante.
Il cielo caldo e l'aria colorata dal tramonto del sole.
Il paesaggio verde e rigoglioso.
Tutto poteva sembrare perfetto, ma nulla lo era, solo tra di noi non esistevano incongruenze o malesseri.

Quando ci staccammo sentii una voglia di piangere incontrollata.
Avevo avuto un assaggio di un pomeriggio perfetto, senza pensieri negativi se non i miei.
Così avrei dovuto vivere.

"Andiamo." sussurrai a Jason che aveva un'aria felice.

Io ero felice, ma amaramente.

Appena entrai in camera lo salutai con un bacio veloce, rifiutando la sua compagnia.
Insistetti sull'idea di dover dormire veramente.
Dissi che il viaggio mi aveva stancato più di quanto pensassi e questa era l'unica cosa vera che gli raccontai.

Una volta chiusa la porta, sospirai, cominciando a piangere.

Ero triste, solamente triste in quel momento.
Rimasi seduta contro la porta per un bel po' di tempo, non saprei dire precisamente quanto, ma decisamente parecchio.

Una volta terminate le lacrime e la voglia di piangere, mi alzai, pronta a ripartire per affrontare la mia vita.
Non volevo accettarla, ma non potevo respingere gli eventi.

Andai a prendere la mia cartellina e quando misi la mano nel luogo in cui la nascondevo, mi accorsi che non c'era più.

Controllai ovunque nella camera, non era lì e qualcuno l'aveva presa.

Ero sicura di non averla portata di nuovo fuori dalla stanza. Mi venne il dubbio che Jill o Nora potessero averla presa, ma a loro cosa poteva importare di quella stupida cartellina?

Entrarono entrambe proprio nel momento in cui mi chiesi come agire.

"Ragazze, avete preso voi la mia cartellina? È grigia e dentro è piena di fogli e scartoffie." chiesi ansiosa.

"No, io non l'ho vista." rispose Nora e subito rivolsi il mio sguardo a Jill.

"Io non ho toccato niente e non l'ho mai vista." si giustificò.

"In questi giorni è entrato qualcuno in questa stanza che potrebbe averla presa?" domandai, la mia ultima speranza.

"Nessuno, Nicole. Nemmeno i ragazzi." affermò Jill.

Mi allontanai da loro frustrata, cominciando a passarmi le mani tra i capelli.
Cominciai a sentire caldo, troppo caldo.
Lì dentro c'erano gli appunti sullo stalker, nessuno doveva leggerli altrimenti si sarebbe vendicato. Inoltre c'erano i miei ricordi: le mie prime stesure di racconti e molto altro.

Non potevo aver perso tutto, non dovevo perdere per nessun motivo al mondo quella cartellina.

Pagine di diario, poesie, delle idee per alcune storie, addirittura avevo scritto un libro.
Se avessi pianto non si sarebbe risolto nulla, non mi sarei nemmeno scaricata.

Ora avrei dovuto subire le conseguenze di quella sparizione.
Non volevo rischiare di morire ancora e sicuramente non volevo che qualcuno potesse fare del male ai miei amici.

Sentii le orecchie fischiare e il sangue scorreva troppo velocemente. Il battito più irregolare che mai e il caldo che provavo era indescrivibile.

Cominciai a vedere delle chiazze di luce.

Quella fu l'ultima cosa che ricordai.

Fallen In FloridaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora