14. (PARTE SECONDA)

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La Sirena uscì dall'acqua e si trascinò nella frescura della Grotta a nord di George Town, fin dove poteva prima di sbattere contro il muro invisibile eretto dal Signore dei Venti. Per un'ora si era tenuta a galla, con gran dispendio di forze, per attendere che le barche dei pescatori rientrassero al porto. Indugiando, aveva interpellato i pesci vetro che le giravano intorno in un mucchio scintillante d'argento e aveva saputo che l'uccello umano nascosto nelle mangrovie non si era mosso.

La Sirena Alata sonnecchiava durante il giorno e cacciava dal tramonto all'alba, ma la notizia preoccupante era che gli uccelli dell'isola si stavano schierando per non contraddirla. Kyriake aveva potere su di loro e li spaventava.

«Se potessi infilarle nel sedere uno dei razzi segnaletici della Marina farei vedere io al Greco dove venirla a riprendere!»

La Sirena sedette con la coda abbandonata di fianco a sé, come una giovane perbene avrebbe posato le gambe nell'erba. Ciò che restava dell'Aliseo era appena sufficiente a spostarle i capelli in un soffio sfinito: non parlava con lei, l'anima era rinchiusa nel fondo della Grotta.

Prima di iniziare a leggere per il Vento, abitudine presa all'indomani della sigillatura, la Sirena ascoltò i sibili di frusta e i lamenti che l'eco trascinava fin fuori.

I pescatori non entravano, anche loro udivano la disperazione e pensavano fosse un qualche tipo di bestia intrappolata che era meglio non disturbare. Solo uno, rottame della stirpe dei famosi guerrieri ormai preclusi dal sacrificio, si era avventurato dentro la Grotta, dove nemmeno lei poteva, uscendone a mani vuote.

Era un'ingiustizia che il potere del Signore dei Venti e di Nettuno lasciasse passare un essere umano e impedisse alla Signora del Mar dei Caraibi di portare sollievo al suo compagno. La Sirena scosse la testa e si morse il labbro. Aprì il libro e cominciò a leggere.

Se con le vostre arti, padre mio,/avete scatenato in tal fragore/l'acque selvagge, con le stesse arti/fatele ritornare ora alla calma./Pare come se il cielo voglia piovere/sol pece infetta, non fosse che il mare/sollevando i suoi flutti tanto in alto/da arrivar fino a lambirgli la guancia,/sembri volerne incenerir l'ardore./

E il Vento si calmava e la Grotta taceva.

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Di solito, terminato di leggere al Vento, la Sirena si recava alla zona umida delle mangrovie. Dopo diversi tentativi era riuscita a trovare un passaggio che dal mare sbucava in una pozzanghera acquitrinosa. Distava un miglio circa dallo stagno.

L'ultimo tratto lei lo percorreva alla maniera serpentina, strisciando sulla terra secca che le opacizzava le scaglie e la ricopriva di polvere gialla. Ogni volta che si trovava a respirare l'alito terroso, le sovveniva alla mente la maledizione del serpente dell'Eden: Striscerai sul tuo ventre e mangerai polvere tutti i giorni della tua vita. Metterò inimicizia fra te e la donna. Aveva finito con l'odiare le donne umane e ne aveva accettato volentieri il sacrificio. Le pareva logico, giustificabile. Se solo quell'uccello avesse ammazzato donne umane, forse l'avrebbe lasciato fare, ricattando Nettuno se voleva che intervenisse.

Dammi le gambe, dammi quello che hanno le donne e... Non avrebbe davvero potuto convincere la Sirena Alata a smetterla di perpetrare il rituale. Se la richiesta fosse venuta dalla sua bocca non sarebbe stata altro che ipocrisia. E incoerenza.

Andava ogni sera a controllare la situazione e le sembrava che il mondo delle mangrovie fosse l'immagine di un libro in cui nulla cambiava. Tuttavia, un giorno si era accorta che, come aveva detto il padre, dalla fine di luglio la Sirena Alata aveva interrotto le uccisioni. Se ne era rallegrata, prima di ricordare il modo in cui aveva dovuto patteggiare con Kyriake per ottemperare alla richiesta di Nettuno. A distanza di giorni, il rigetto dell'intrusa al primo espediente le grattava dentro.

È altezzosa da rifiutar le bestie. La Sirena ricordò come la Sirena Alata aveva ruotato il capo e guardato il maiale. Una bestia grassa, di quelle che grufolavano per la capitale e avevano dato alla città il nomignolo di Hogsties.

«Cosa faresti tu se io venissi a Zante e prendessi in sacrificio i tuoi greci senza chiedere il permesso? Ti accolgo da pellegrina e tu mi ricompensi con la follia! Io sola posso disporre delle risorse dell'isola, come osi ammazzare la popolazione che amministro da secoli? Se avevi fame potevi chiederlo, t'avrei sfamato. Se avevi sete potevi chiederlo, t'avrei dissetato. Invece sei una ladra!»

«Capisco, Sirena pesce. Ma un suino non ha la cosa che mi serve.»

«Ti procurerò quello che vorrai.» E il giorno successivo, lei le aveva offerto il vecchio perché Kyriake smettesse di linciare uomini. L'ultima vittima prima della quiescenza.

«Non è molto gentile da parte tua porgermi carne avariata. Quest'uomo è debole, ha i giorni contati.»

Il pescatore aveva tenuto gli occhi scoloriti fissi nel vuoto, stordito dalle lusinghe della voce femminile che gli prometteva di condurlo verso il tesoro che aveva cercato per sessant'anni.

«Ha quello che vuoi, no? Hai detto che non avresti innescato una guerra. Sarei pronta a combatterla, bada.»

Adesso Kyriake l'incontentabile sonnecchiava di un torpore simile al letargo dentro un grosso nido in una grossa forcella di un albero secolare, rifugio che doveva aver costruito con la bocca mutata in becco e gli artigli.

Di solito, la Sirena la ingiuriava, vegliandola. Il silenzio la faceva imbestialire. Si era accorta che gli uccelli tacevano, si trovavano sulla linea di fuoco fra due divinità. Volevano restare neutrali e non potevano.

«So che alcuni di voi hanno timore di quell'uccello puzzolente e non osano fronteggiarlo. Non vi punirò, bestie pavide, ma alla prossima migrazione vi consiglio di non tornare. L'arcipelago vi è precluso.»

Gli uccelli cinguettavano, strillavano e si raccoglievano sull'argine dello stagno dove la Sirena era immersa. Supplicavano, ora che la padrona delle mangrovie dormiva, fidando nel poco di benevolenza della Signora del Mar dei Caraibi.

Per quanto ne dicesse, la Sirena non poteva proteggerli o avanzare alcunché su di loro. Durante i primi giorni di sonno della Sirena Alata, aveva gragnolato il nido sull'albero di pietre aguzze. In un caso aveva lanciato uno spadino, uno dei tanti che aveva sfilato dai cadaveri degli sventurati che avevano perduto la vita negli anni funesti fra il 1775 e il 1785. Ma ogni lama deviava.

Deve esserci un sigillo o un'atmosfera che le protegge il corpo.

In ammollo nello stagno, annoiata dal ruolo di sentinella, la Sirena vagliava ogni tipo di attacco con ogni tipo di arma dell'arsenale racimolato nei secoli. Sciabole, daghe, lance. Aveva dei fucili, una raccolta che mostrava ogni tappa dell'evoluzione ma, prima di accorgersi che l'acqua salata ne rovinava i meccanismi, i fucili erano diventati inservibili. Uno solo funzionava ancora, ed era recente, un fucile con alcuni proiettili che teneva nella Stanza e che portava inciso il nome del padrone: Deadman R.

Dubitava di riuscire a impallinarla. Quando guardava Kyriake dormire con gli occhi socchiusi – una membrana li rendeva viscosi – la Sirena provava un odio irragionevole che posponeva il rischio di soccombere all'intrusa. Era vissuta troppo a lungo con la convinzione di essere immortale e la paura era scivolata via dal suo corpo, rimpiazzata dall'arroganza.

Durante le lunghe notti di solitudine, eccettuati i pesci nello stagno e i notturni che non osavano seccarla, era costretta a pensare. Ai suoi guai, al capitano, alle gambe. Una tristezza vana e senza arrivo le intorpidiva il corpo. 

Di Pesce e di UccelloDove le storie prendono vita. Scoprilo ora