36. (PARTE SECONDA)

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Kozlov fece smontare la Sirena e la tenne in braccio dopo aver legato il cavallo al fusto di una Cordia laevigata con i frutti verdi

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Kozlov fece smontare la Sirena e la tenne in braccio dopo aver legato il cavallo al fusto di una Cordia laevigata con i frutti verdi. Lei rivolse lo sguardo al cielo e vide i fiori a forma di tromba della "foglia della vita" che formavano un soffitto rosa purpureo; quindi vagò con gli occhi alla sua sinistra su corde coperte di vegetazione, legate a formare un recinto. Dentro crescevano le piante officinali le cui proprietà i nativi conoscevano bene.

Un pomo di Sodoma attirava nugoli di farfalle arancioni dalle ali puntellate di macchie bianche.

Il russo camminò senza difficoltà verso la porta di legno della baracca. Pareva chiusa. Bussò con la punta della scarpa e l'anta si aprì senza far rumore. Trattenne il fiato e non varcò la soglia, circondato dalle farfalle attirate dalla Sirena.

«C'è nessuno?» si decise a dire dopo aver guardato l'ambiente spoglio. Un lettuccio di legno, un tavolo e alcuni contenitori.

Un'ombra scura uscì da dentro la vegetazione. Scostò un abito appeso al filo per il bucato. Passando, le gambe toccarono i cestini, che gemettero in un crampo di legno.

Kozlov si voltò e vide un uomo magro con la pelle bronzea e gli occhi lucidi in un volto che pareva un percorso carsico con buchi, macchie e rughe. Lo riconobbe.

Lo stregone aveva smesso di muoversi nel momento in cui aveva realizzato di non essere solo, sbalordito di vedere un essere umano, un bianco, capace di trovare la via fra piante ingannevoli. Erano anni che gli isolani non gli facevano visita, nemmeno per chiedere guarigioni miracolose. Attendevano quando lui scendeva in città, nei giorni di luna piena, per rivelare patimenti e segreti, per chiedere. Si diceva che lo stregone prevedesse gli uragani e fonti certe ammettevano che in passato avesse officiato sacrifici umani e ucciso le vittime con i suoi coltelli.

Nessuno osava contrariarlo e al di fuori dei giorni stabiliti gli abitanti erano certi di non sbarrare il suo cammino. Se succedeva, voleva dire che la Signora del Mar dei Caraibi l'aveva chiamato. Lui portava il segno, il fiore di ibisco, alla sacrificata. Scortata la vittima e assicuratala agli Scogli, tornava alla baracca nella vecchia foresta.

Gli ultimi che conoscevano la strada per arrivare a lui si erano spenti da anni, ma la loro eredità proseguiva nei meritevoli. Almeno ogni membro delle famiglie negre aveva un'idea del percorso, anche se non camminavano né si trascinavano dove non erano ben accetti.

Lo stregone era conscio della sua nomea fino a non poter credere di vedere un uomo bianco davanti a sé. Era inconcepibile, a meno che fosse un qualche spirito, e non ne aveva le fattezze nella carne solida e nello sguardo terreno.

«Mi chiamo Borya John Kozlov.»

«Da dove venite?»

«George Town.»

Kozlov si volse interamente verso di lui e lo stregone si interessò alla donna che reggeva fra le braccia. Lei lo chiamava con i suoi occhi senza sclera né pupilla, di corallo nero, e infine lo incatenò.

Di Pesce e di UccelloDove le storie prendono vita. Scoprilo ora