Kozlov percorse la strada polverosa che dalla villa passava attraverso un campo di cotone e udì i lavoratori cantare.
Pain nous ka mangé,/C'est viande beké/Di vin nous ka boué/C'est sang beké. (1)
È francese. L'ufficiale si fermò un istante ad ascoltare. Faceva caldo per i suoi gusti e nemmeno pensare alla Siberia lo rinfrescava. Avvertiva il filo delle suture che tirava ogni volta che muoveva un passo e dovette cedere la ragione sul prurito all'aiutante del dottore.
Proseguì sotto una galleria di palme e alberi che profumavano di pepe. Una tartaruga sbucò da un cespuglio e si immise sulla strada. Non era lenta come dicevano, pensò il russo, e le disse: «Tovarish».
La natura intorno portava le cicatrici del passaggio dell'uragano del 1846. Alberi morti, buchi nel terreno, spazi liberi dove penzolavano rami recisi, i vuoti in una canopia che Kozlov ricordava serrata. Vide che sugli alberi maltrattati fioriva una pianta filamentosa di orchidee bianche.
Lasciò le abitazioni e scese verso il mare. Camminò nella sabbia fine lasciata scoperta dalla marea e avanzò finché comparve la ironshore, una crosta dura di calcare scuro con intrusioni di corallo, fossili di molluschi e fango lagunare, che dava origine agli scogli. Con attenzione si issò sopra e vide che non c'erano barche. Nemmeno per la strada aveva incontrato persone. Si tenne lontano dall'acqua, poggiandosi quando il fiato veniva meno.
Che vigliacco. Di giorno.
Da lontano vide l'insenatura adombrata dalle rocce che spiovevano e la piattaforma antistante. Rammentò l'attimo in cui aveva posato la lanterna. Procedette, nella visuale la porta di legno della Stanza si alzava e si abbassava. Si fermò, mise una mano sul petto e ascoltò il terrore.
In pochi passi sarebbe arrivato. Decise di sostare sopra uno scoglio. Guardò le patelle attaccate, era una zona intertidale ma la prigione spagnola non ne veniva inondata. Annusò l'odore del corallo, dell'acqua e delle patelle. Allungò la mano per staccarne una, grattò la conchiglia sottile senza arrivare al piede e ritrasse la mano.
Aveva pensieri mai avuti, che era sempre riuscito a scacciare. Udì aprirsi l'acqua e trasecolò. Un pesce volante compì un arco e rimpiombò dentro il mare.
Provava il fastidio della camicia appiccicata e avrebbe voluto immergersi per mondarsi dalla calura. Udì di nuovo aprirsi l'acqua, il cuore non aveva decelerato. Guardò a destra e a sinistra. Vide un bagliore. Si alzò di scatto, mise una mano a pararsi il ventre e si piegò di nuovo in avanti per la fitta. Il sedere grattò contro lo scoglio. Indietreggiò per nascondersi.
«Attendete.»
Era la stessa voce che comandava agli squali. Kozlov riuscì a rimettersi eretto, si appoggiò alla parete solida e irregolare della scogliera e ne sentì la frescura. Era abbastanza distante. Tolse dalla cintola la pistola e armò il cane. Quando seppe di avere l'arma pronta alzò la testa e la vide nell'acqua, le braccia appoggiate alla terraferma. Di giorno i capelli avevano riflessi bluastri e la retina scintillava di pietre come stelle. Gli occhi non cambiavano mai.
STAI LEGGENDO
Di Pesce e di Uccello
AdventureGrand Cayman, giugno 1847. Durante la ricostruzione successiva all'ennesimo uragano, sull'isola giunge una straniera che ben presto diverrà la nemica contro la quale la Sirena del Mar dei Caraibi dovrà combattere per difendere se stessa e l'arcipela...