26. (PARTE TERZA)

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L'amore della vita

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L'amore della vita.

La Sirena guardava l'altra se stessa allo specchio. Il capitano voleva ucciderla. Non la conosceva e voleva ucciderla. Sì, invece, ti conosce per le tue azioni. Una persona è quello che fa e lei per i canoni umani era spregevole.

La razza, dentro il chiosco da giardino di corallo rosso e pennoni, non si muoveva. Nuovi fiori di stoffa ondeggiavano nell'acqua, sostituti delle decorazioni zuppe che si sfaldavano e cadevano. Dopo qualche anno, la Sirena doveva cambiare anche il legno, che marciva, e liberarsi dei metalli troppo arrugginiti. Osservò le scatole chiuse e ammonticchiate, il cannone, la specchiera con il cassetto sfondato. La mente le cedette un sonetto dell'autore de La Tempesta: Non sia mai ch'io ponga impedimenti/all'unione di anime fedeli; Amore non è Amore/se muta quando scopre un mutamento/o tende a svanire quando l'altro s'allontana.

Ma cosa poteva mai essere l'amore per chi non aveva idea di cosa fosse? Era un fiore di stoffa che ondeggiava, una scatola chiusa e ammonticchiata, un cannone, una specchiera con il cassetto sfondato. Era una cosa che voleva perché non l'aveva.

«L'unica cosa che ho adesso è lo stesso sentimento di allora qui.» La Sirena toccò dove avvertiva pulsare. «Un ardore terribile che tenta di uscire e non ha forma né peso, ma io ne sento forma e peso dentro di me.» Ricordò il capitano, di cui non nominava mai il nome e il cognome, sulla spiaggia al crepuscolo in compagnia del signor Connolly. Si studiò le dita sguarnite, le braccia bianche su cui le ultime cicatrici andavano guarendo. «Presto non ci saranno più.» Lasciò lo specchio vuoto e nuotò verso la superficie. Uscì in una sera illune di novembre, uguale a quella in cui il Vento era stato sigillato. Raggiunse la Grotta e si trascinò dove udiva l'eco del compagno. Intonò un canto inventandosi le parole sulla melodia del Blues. I come with my tongue/and bonded to this land/and bonded to this song/I'll watch over your fate/closely*.

Un uccello le si posò accanto. Lo riconobbe, una delle fregate dalla coda forcuta. Portava un messaggio, le mostrò che era l'ultimo di una staffetta di specie diverse che Nettuno aveva incaricato di raggiungerla. Volava da diverse ore in attesa che lei risalisse in superficie.

La Sirena restò ad ascoltare con una rassegnazione ingombra della figura dolente del capitano. «Persino mio padre è impotente di fronte a un uccello più antico di lui. Non posso dispiacermene per intero, è colpa mia e colpa sua.» Studiò la sacca rossa e floscia sulla gola della fregata. Quando si gonfiava assomigliava a un cuore. «Grazie. Adesso puoi riposarti. Resta nei pressi della Grotta, c'è un'ospite nel cuore dell'isola e non è benevola.»

L'uccello obbedì. Veniva dall'Isle of Man e non sapeva nulla della Sirena Alata.

La Sirena gettò la fregata in aria; la specie faticava a decollare da una superficie piatta. Dopodiché, rimase a contemplare il mare calmo, la coda stesa di fianco e le mani in grembo. «Posso comunque provare a farlo» decise. Parlava di una soluzione che le era maturata dentro.

* Vengo con la mia lingua/e vincolata a questa landa/vincolata a questa canzone/sorveglierò il vostro fato/da vicino.

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