19. (PARTE SECONDA)

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Il grembo del Mar dei Caraibi era trasparente al punto che Kozlov poté vedere a diverse iarde di distanza. Aveva scelto di immergersi in un'area neutrale per non rischiare nei pressi degli Scogli del Sacrificio, dove l'esperienza e le dicerie lasciavano intendere che si aggirasse la divinità delle Cayman. Il viso della Sirena gli era chiaro nella memoria quasi l'avesse visto un'ora prima. La lanterna l'aveva illuminato di colori opachi e lui rammentava il nero degli occhi, lucido al pari del dorso delle mante.

La costa a sud di George Town ospitava alcuni relitti, segno che il fondale non era profondo e vi si poteva camminare senza incorrere in una spaccatura improvvisa, entro la quale si sarebbe caduti a capofitto per piedi e piedi. I burroni. Il fondo del mare non era poi dissimile dalle montagne, pensò Kozlov, e forse i geologi avevano ragione a dire che gli oceani si prosciugavano e si alzavano e la terra si inabissava, niente era immutabile come la mano di Dio l'aveva creato.

Il visore e gli oblò non erano lenti comode attraverso cui guardare e la forma stessa dell'acqua, se di forma si poteva parlare, falsava le distanze. Il russo mosse qualche passo per allontanarsi dalla pirocorvetta e sollevò nuvole di sabbia.

Un branco di menidia lo avvolse in una spirale di centinaia di pesci. Kozlov fu disorientato da una danza frenetica di scaglie vetrose che cambiava direzione stringendosi e allungandosi e tese la mano per toccarli, un gesto lentissimo. Ciascuno dei pesci che sfiorò gli sfuggì. L'ossigeno gli dava le vertigini e cercava di respirarlo senza succhiarlo.

Il banco di pesci si dileguò in un punto blu, seguito da alcuni tarponi, di cui il russo vide la parte superiore verde e i fianchi d'argento. Parevano luccicare a ogni colpo di pinna. Uno si avvicinò all'oblò centrale con la bocca rivolta verso l'alto e lo baciò due volte sul vetro.

Disseminati nel fondale, spuntavano cespugli di corallo; fra gli scheletri duri si muoveva un'infinità di pesci come uno stormo di uccelli si sarebbe mosso nel fogliame. I coralli neri spiccavano, ma non erano numerosi. Kozlov proseguì e si accorse che il piano declinava in un angolo dolce e inarrestabile; di contro, le barriere coralline salivano verso la superficie. Considerò qualche pezzo di legno incastrato, forse il boma di uno schooner, niente che potesse ricordare una fregata. Sapeva che gli organismi marini consumavano strutture e corpi con la stessa facilità e, laddove non riuscivano, la nave diveniva una scogliera artificiale.

La barriera che s'innalzava aveva formato pareti rocciose dentro le quali si aprivano cunicoli dove i pesci continuavano i loro andirivieni. Ogni formazione aveva un colore che abbracciava lo spettro dei blu e dei verdi, ravvivato dall'esplosione colorata degli scari che transitavano, macchie gialle, viola e arancioni con il muso protundente, il becco di un pappagallo. Ma non strillavano né cantavano.

Il silenzio.

Kozlov era avvolto dalla quiete soprannaturale che velava gli abissi. Ogni movimento era silenzio, nessuno scrosciare di acqua. Sentì il cuore che accelerava, tachicardico, per una paura che aveva il sentore della morte. Persino in una bufera di neve siberiana si udivano il fischio del vento e il tonfo del piede e i fiocchi avevano una loro voce granulosa all'orecchio. Calmo. Se il cuore batte troppo in fretta consumerò più ossigeno. Lo pensò e avvertì la tristezza dei confini della Russia.

Di Pesce e di UccelloDove le storie prendono vita. Scoprilo ora