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Avery non aveva mai pensato a quanto tempo ci volesse a percorrere un braccio di mare circoscritto con una barca a remi

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Avery non aveva mai pensato a quanto tempo ci volesse a percorrere un braccio di mare circoscritto con una barca a remi. Nonostante ne dicesse, si era abituato alla velocità della pirocorvetta con l'elica in funzione e l'angustia per il secondo ufficiale gli faceva muovere le gambe sul fondo della scialuppa.

Abel aveva azzimato un racconto pieno di falle e si era tenuto alla larga dalla verità. Avery non aveva sprecato tempo a minacciarlo mentre correva verso la spiaggia, attraversando le pozze d'ombra che gli alberi proiettavano. Preferiva vedere coi suoi occhi.

«L'unica cosa che mi è chiara è che ha disobbedito.»

Abel remava in modo spasmodico. Avrebbe voluto replicare che il divieto riguardava le Azzorre, non i Caraibi. "La prossima volta" era un modo di dire che lasciava spazio all'interpretazione personale.

La scialuppa toccò l'opera morta, Avery si arrampicò sulla biscaglina e comparve sul ponte. Il nostromo, che aveva in bocca il fischietto, gonfiò le guance.

«Niente cerimonie» disse il capitano.

Blight sputò il fischietto. Sul ponte erano raggruppati i marinai di guardia con gli sguardi vacui e una reticenza che si muoveva fra loro come un'altra persona invisibile.

Avery li passò, scese per il boccaporto e si diresse a prua dove Fourcade, lasciato a discorrere in sua vece con il signor Middleton, aveva installato un piccolo ospedale con il tavolo in metallo. L'aria sottocoperta aveva una pesantezza asfittica e lui rallentò perché il buio gli ridusse la visuale. Si accorse che nessuno l'aveva seguito. Giunse alla porta, senza presentarsi l'aprì e trovò la stanza operatoria vuota in cui stagnava l'odore del sangue e del rimasuglio di formalina e permanganato di potassio, un metodo di asepsi che Patterson teneva in gran conto – non si contavano le volte in cui Avery aveva udito il chirurgo redarguire i marinai che si avventuravano nel deposito medico durante la disinfezione della cabina: «Se volete morire, accomodatevi. Su, aspirate i vapori e crepate! Blatte ignoranti!»

Senza poterselo impedire, Avery si tappò bocca e naso con la manica. Su un ripiano notò un carapace, uno dei cimeli del dottore, e appeso a un chiodo sulla parete l'indumento impermeabile da immersione floscio, lacerato e sanguinolento. Una porta divideva la sala operatoria dal locale dove venivano sistemati i pazienti. Ne oltrepassò la soglia e dovette strizzare diverse volte gli occhi. Un uomo di cui vedeva una chiazza ovale bianca era sdraiato nella cuccetta vicino all'osteriggio, a sinistra.

«Capitano, avete volato?» La voce dall'accento del New England di Patterson gli arrivò all'orecchio. Il buio acuiva i sensi.

Avery avanzò e la visuale schiarì.

Kozlov era coricato con la testa sul cuscino e la coperta marrone tirata fino alle clavicole. Il viso era intatto. Il capitano contò quattro rigonfiamenti: braccia e piedi parevano essere al loro posto. Doveva controllare il resto.

Il chirurgo, con la camicia bianca e senza cravatta, sorrise, accomodato su una sedia al capezzale del ferito.

«Che cosa è successo?» Avery notò MacMourrog nell'oscurità, immobile sul bordo di un'altra cuccetta, la testa abbassata sui pugni.

Di Pesce e di UccelloDove le storie prendono vita. Scoprilo ora