Kyriake aveva appena sorvolato il Forte. Durante il volo dalla foresta alla città, aveva lasciato cadere l'ibisco di stoffa, che si era andato a posare, sospinto dai venti, sulla soglia di un'abitazione.
La Sirena Alata osservava in basso i cadaveri degli uccelli che le pallottole degli uomini avevano abbattuto – corpi con le zampe rattrappite in aria – quando la raffica discendente del Williwaw la investì e la spinse indietro, cappottandola due volte. Ricevette un pugno nel petto e il sotto divenne sopra e poi sotto e poi sopra, traballante e offuscato, prima che riuscisse a muovere le ali. Non poteva batterle con un vento contrario; decise di appoggiarvisi in un volo planato che la allontanò dal cortile.
Dal lato del mare l'Aliseo ne fermò la discesa a mani aperte e la rigettò indietro; la Sirena Alata si sentì pressata da due soldati che la tenevano, conducendola, e sapeva dove l'avrebbero portata. Visse in corpo il martirio dei rivoluzionari traditi e catturati dai despoti. Dall'alto guardò un'isola che aveva pensato di conquistare: la Sirena pesce era una bambina e lei una divinità uscita dall'uovo di una divinità presente nel mondo per assistere alla prima estinzione di massa sulla Terra.
L'uovo deposto da sua madre si era schiuso pochi anni prima che la terra vomitasse flussi incendiari di liquido rosso, e il cielo riversasse un'acqua malsana che aveva fatto ammalare gli alberi e gli esseri minuscoli che strisciavano e volavano, di cui la Sirena Alata si era nutrita prima di passare allo spirito di grossi esseri che mangiavano erba o si divoravano fra loro.
Il senso di vuoto di sua madre era maturato lì – glielo aveva rivelato pochi giorni prima di ritirarsi nel suo eremo e morire –, nell'assistere a un mondo che avvizziva in cui lei restava sola a sopravvivere. Poi il mondo era tornato a partorire esseri e si era ripopolato, ma chi vi abitava continuava a cambiare aspetto a seconda di cosa mandassero il cielo o la terra.
«Non c'è nulla d'immutabile a cui aggrapparsi, nulla in cui riconoscersi», le aveva detto.
Sua madre aveva aggiunto d'aver resistito per merito della compagnia di una cosa invisibile che le soffiava intorno, e a volte le parlava narrandole dei lenti accadimenti nel Grande e Unico Continente. Quando si era accorta che erano comparsi esseri che le somigliavano, gli uccelli, aveva assorbito l'idea della coalizione. Riconoscendosi in loro, aveva deposto un unico uovo. Lei figlia, allora implume senza nome, era nata nel movimento dei continenti, nell'istante in cui la madre aveva deciso di rimanere al Nord, dove dimoravano un'accozzaglia di esseri, anch'essi senza nome, che osservavano al suo pari i mutamenti della Terra e le somigliavano nel volto.
Lei e la madre si erano installate in una zona arida; avevano assistito alla caduta di un grande sasso dal cielo e la madre, proteggendola con le ali, aveva profetizzato un'altra grande scomparsa.
Al tempo del meteorite, sua madre non era sola. Aveva lei e il compito di istruirla. L'aveva fatto, aveva ricominciato a imparare continuando ad assistere all'assestamento del mondo fra sputi di fuoco da sotto e da sopra, alternati a periodi che ispessivano le piume, e alle contrazioni del suolo che presagivano nuove creazioni. Siccità e pioggia, foreste venivano su e cadevano, le grandi acque si vuotavano e ripopolavano, gli animali continuavano a cambiare e a ridursi in misura.
A un certo punto alcune strane bestie ricoperte di peli avevano smesso di camminare su quattro zampe e si erano sollevate su due, e lei aveva compreso che stavano cominciando ad assomigliare agli esseri che non vedeva più da quando la piana si era modellata in picchi. Lei e la madre avevano saputo molto dopo quale fosse il nome degli strani esseri, il cui viso andava conformandosi, pur con molte differenze nei colori e nella forma, al loro.
Solo quando l'Uomo aveva parlato, lei e la madre avevano abbandonato i versi e gli stridii per rubargli la parola, oltre a uno spirito denso e rifrancante migliore di quello animale. Erano ormai da molte ere nello stesso luogo: gli uomini autodefinitisi tali lo chiamavano Grecia e avevano dato un nome a ciascun essere posto sul picco – ora monte – Olimpo.
«Voglio un nome, madre mia» aveva avanzato lei in un giorno infausto.
Sua madre aveva ponderato a lungo e dall'antico verso ki k iri iri ak ak ake, che usava per richiamarla al nido dopo ogni sortita per cibarsi, era nata Kyriake.
«Noi non siamo come loro, ricorda. Loro cambieranno e spariranno e noi continueremo a esistere.»
«Noi siamo cambiate. Non sono più nuda e l'apertura delle mie ali si è fatta ampia.»
Per lei era stato semplice prendere agli uomini l'idioma e l'anima, anche se sua madre avrebbe preferito continuare a vivere nel modo in cui gli animali conducevano la loro esistenza. Sua madre avrebbe preferito usare il soffio e il fischio e i versi per comunicare con lei e con il Vento.
Vento che, comunque, era mutato con quello che gli uomini definivano tempo: dal periodo in cui era apparsa la sfera grigia chiamata Luna se n'era andato verso l'alto, ambizioso e sordo ai richiami dell'amica, per divenire il "Signore dei Venti", lasciando ai suoi "figli" il mondo, figli che altri non erano se non frammenti di se stesso.
Dove viveva lei, il frammento aveva preso il nome di Grecale o, da sua imposizione, Greco. Ed era tanto cordiale quanto dispotico nell'alternarsi delle stagioni. Un vento che sua madre temeva e chiamava pazzo.
No, i venti non possono essere uccisi, esistevano prima di mia madre e prima di me. Forse però possono essere ingannati, pensò Kyriake, e oltrepassò, nella sua processione da condannata, la foresta impenetrabile dove una volta aveva avvistato l'uomo che gli isolani chiamavano stregone, l'umano che aveva visto appendere la taglia su un pannello di legno, ma di cui non aveva preso l'anima perché poteva nuocerle, un'esalazione venefica.
«Venti» disse la Sirena Alata, «io ho ali che sostenete e mi lascio guidare. Sono docile, serbo grande fiducia in voi, siete coloro da cui dipendo. E io sono voi, lo sapete, ve lo deve aver detto il Signore dei Venti. Sono una delle vostre personificazioni e discendo da Teamante ed Electra, che posero mia madre sulla Terra.» Lo disse sapendo di mentire: sua madre non aveva idea di chi l'avesse generata, ma gli uomini sì, si erano inventati le sirene con le ali, che di seguito erano divenute sirene con la coda di pesce. «Non potete aver dimenticato gli Dèi, non posso crederlo da voi che servite una figlia di Nettuno. Mia madre fu fecondata dal Signore dei Venti, posso essere vostra sorella!»
L'Aliseo, già debole, allentò la presa, colpito dalle parole. Il Williwaw ebbe un infinitesimale istante di dubbio.
STAI LEGGENDO
Di Pesce e di Uccello
AventurăGrand Cayman, giugno 1847. Durante la ricostruzione successiva all'ennesimo uragano, sull'isola giunge una straniera che ben presto diverrà la nemica contro la quale la Sirena del Mar dei Caraibi dovrà combattere per difendere se stessa e l'arcipela...