26. (PARTE PRIMA)

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Passi di scarpe con il tacco, gemiti e strepiti furono lo scenario teatrale che attese il signor King quando rincasò accaldato e impolverato al crepuscolo

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Passi di scarpe con il tacco, gemiti e strepiti furono lo scenario teatrale che attese il signor King quando rincasò accaldato e impolverato al crepuscolo. «Lenore» disse.

La moglie annuì.

Il signor King aveva visto la pirocorvetta e il capitano dare ordini riguardo ai carichi. Non si era fermato a conversare – era appena uscito dalla casa del Governatore, la carrozza lo stava riconducendo alla villa. Si era limitato a guardare da lontano la figura di Avery nella nuova uniforme blu con le bande dorate sui calzoni, senza biasimarlo se non aveva voluto sua figlia. Lenore era troppo viziata. I marinai desideravano la tranquillità della franchigia, una donna disponibile, non lagne, pretese, un letto freddo, femmine frigide. «È colpa tua che le lasci fare quello che vuole. Mandala a dare un aiuto alla Missione e si leverà dalla testa le farfalle di cui è piena.»

La signora King comprese e chiamò Dulcina. «Svelta, sali e cerca di calmare la tua padrona. Dille che suo padre è tornato e ha bisogno di pace.»

«Ne hanno trovato un altro, nella zona di Turtle Fence» disse il signor King, e si spostò verso le scale per andare al bagno del piano superiore.

La moglie si fece il segno della croce. Lo seguiva.

I rumori di pianto, che per qualche secondo si erano uditi con maggior chiarezza, tacquero.

«Un altro uomo, un bianco. Il Governatore ha deciso di mandare la nave scorta a vedere di cosa si tratta. Spediremo anche una guarnigione del Forte George con i fucili. La faccenda è andata oltre, gli indigeni cominciano a ribellarsi e non vogliono lavorare per paura di essere uccisi.»

Lenore, stesa sul pavimento con la camiciola, il corsetto e la sottoveste, ascoltò la voce di suo padre farsi fioca. Aveva il viso devastato da un accesso d'isteria che era durato l'intero pomeriggio. Aveva corso, strisciato, picchiato i pugni sulle pareti della camera, soffocato e tossito bocconi sul letto. Aveva stracciato il vestito color sabbia che indossava ogni volta che Avery andava a farle visita e per il quale le aveva fatto i complimenti: "Che splendida figura." Sussultava come un pesce in cerca d'acqua, odiando sé stessa, la sua famiglia e Dulcina che le chiedeva di calmarsi altrimenti il padrone le avrebbe percosse tutte e due.

«Sai cosa me ne importa se vieni frustata? Niente! Io venivo battuta con una canna.» Lenore guardò la cameriera che, per merito di una sorte benevola, non aveva l'avvenenza della sorella. Era magra, con i capelli stopposi, e non usava artifizi di bellezza, non olio di cocco o essenze per rendere il corpo irresistibile. Non era sagace e se veniva sgridata si ritraeva, un paguro timido.

Pensando alla sua superiorità fisica, la giovane riuscì a calmarsi. Si alzò dal pavimento, si sedette davanti alla specchiera e con la voce consumata disse: «Portami la lozione.» Mentre la spalmava sul viso, rimuginava sulle parole che era riuscita a udire. «Ho bisogno di un favore, Dulce.»

«Sì, signorina.»

Lenore aprì un cassetto e ne trasse un cartoncino profumato. Intinse la piuma nel calamaio e scrisse un breve messaggio. Frugò di nuovo nel cassetto, prese una scatola di porcellana, l'aprì e levò una moneta.

«Uno dei bambini può consegnare un messaggio per il signor Lennox del Forte George? Non tenerti la moneta, ne darò una anche a te quando sarò tornata.»

La cameriera intascò il biglietto e promise.

Lenore si alzò e cominciò a spogliarsi sotto gli occhi di Dulcina, che si chinava a raccogliere gli indumenti. Quando fu nuda si esaminò il corpo, i peli chiari sotto le ascelle e sul pube e le gambe che aveva depilato qualche giorno prima con uno dei nuovi rasoi di sicurezza fatto importare da Sheffield. «Portami l'abito di cotone rosa.»

Dulcina frugò nell'armadio fra stoffe di ogni tipo e colore che le sbattevano addosso.

Lenore si profumò, sciolse i capelli perché venissero pettinati e soppesò con attenzione i seni tubulari. Indossò la biancheria intima, il corsetto e l'abito; si fece dividere i capelli in due bande e costrinse Dulcina ad intrecciarli dietro la testa in una crocchia alta. Non pizzicò le guance, aveva il viso alterato dal rossore. Si osservò. «Dirai a mia madre che non scenderò a cenare. Mi aiuterai a uscire dal cortile dove ci sono le baracche. Passami la mantella leggera. Hai capito?»

Dulcina fece un cenno con la testa.

«Se te lo chiedono dirai che mi sono coricata, sono indisposta. Porta su il vassoio, chiudi a chiave la porta e resta nella mia camera. Mangia, se vuoi.»

«Posso mangiare il vostro cibo, signorina?»

«Mangia quello che vuoi. Devo uscire. E se oserai dire dove sono ti farò prendere dalla sirena come è capitato a tua sorella, hai capito? Chiamerò lo stregone.»

«Vi prego, farò come dite.»

«Aiutami ad allacciarla. Tornerò presto, lascia aperta la porta sul retro.»

«Dove andrete?»

«A fare quello che avrei dovuto fare tempo fa.»

Di Pesce e di UccelloDove le storie prendono vita. Scoprilo ora