La medesima luce ramata ricopriva i corpi di Rupert Lennox e Lenore King nelle piantagioni di canna da zucchero, il luogo appartato dove nessuno li avrebbe scocciati, non ora che il signor King aveva decretato la fine del lavoro al suono della campana prima del tramonto. I lavoratori si erano già sparpagliati per tornare alle catapecchie.
Lennox godeva della tranquillità esausta dell'amore, pensando di sé che era divenuto un cane da fiuto a cui, dopo avergli lasciato annusare la prima traccia olfattiva della preda, l'addestratore non doveva dire nulla. Il segugio era ormai pregno della scia che l'avrebbe portato a rincorrere l'obiettivo. Si era svegliato da una grande apatia e non poteva fare a meno dell'estasi, del bisogno reclamato dal corpo e dalla mente. Si voltò verso la giovane che guardava il cielo.
Lenore si sentiva al pari del fiore di stoffa gualcito e fradicio che aveva trovato sulla spiaggia. Doveva trattenersi dal gridare di insoddisfazione: non succedeva nello stesso modo in cui si era augurata e pensò che la madre le avesse mentito, sobillandola con l'attitudine all'assuefazione delle donne. Quando avrebbe raggiunto la tranquillità non era dato conoscere e la via per arrivarci le era chiara adesso, lastricata di ostacoli, buche, terreni accidentati e mal di piedi, vesciche e affaticamento.
Lennox strinse la mano che lei lasciò inerte per qualche secondo prima di accorgersi che era suo dovere ricambiare, e lo fece volgendosi verso di lui. «Ho un favore da chiederti.»
Lenore rimase con lo sguardo sospeso. Nella mente si rincorrevano i pensieri che non voleva avere, il sollievo sottile che aveva provato per la vedovanza se Rupert non fosse tornato e la delusione di vederlo bussare alla porta, un salvatore accolto in casa; la rabbia per la vita che aveva perso, indipendente dalla sua volontà; il dolore di offrirsi di nuovo perché dopo la prima volta non poteva tornare indietro senza domande e lamentele. Il corpo non reagiva nel modo in cui si agitava di fronte al capitano, il desiderio si era sfaldato sotto il cumulo di cenere e aveva lasciato un misero lustrino annerito.
«Dimmi, caro.» Lenore avvertiva il viso intorpidito. Ricordò quand'era bambina e si era ficcata una manciata delle bacche rosse degli indigeni in bocca, pareva uno scoiattolo, e la balia l'aveva percossa per fargliele sputare in massa.
«Non è facile.»
Sì che lo è. Oh, per l'amore del cielo, sii audace!
Lennox partì da lontano, dal colloquio avuto con Avery sulle tradizioni dell'isola e sui ribelli, e dopo uno, due, tre giri a vuoto, al punto che lei si era sollevata dal terreno spolverandosi la pelle e infilandosi la sottogonna e la maglia di cotone ricamata, arrivò alla richiesta. «Avrei bisogno del belletto che usi d'abitudine. Te ne comprerò dell'altro.» Notò gli occhi spalancati della giovane in cui si era acceso dell'interesse.
«Volete allestire uno degli spettacoli per cui sono famosi i marinai? Lo si fa quando si supera l'Equatore, mi è stato detto. Partirete?»
Lennox fece un cenno di diniego e avvertì la debolezza della nudità. Raggiunse i calzoni e li infilò. Mentre si rivestiva riuscì a dire degli uomini della pirocorvetta in pericolo.
«Anche il capitano?»
«No, lui no.»
Peccato. Come avrei voluto vederlo compromesso. «Puoi allacciarmi il corsetto, per cortesia? Sì, ti darò tutto quello che vuoi, caro. Vuoi venire a prenderlo adesso, quando mi avrai riaccompagnata?»
«Se possibile.»
Quando furono vestiti, Lennox si mise il cappello in testa e porse il gomito, nell'incavo del quale Lenore infilò la mano.
STAI LEGGENDO
Di Pesce e di Uccello
AdventureGrand Cayman, giugno 1847. Durante la ricostruzione successiva all'ennesimo uragano, sull'isola giunge una straniera che ben presto diverrà la nemica contro la quale la Sirena del Mar dei Caraibi dovrà combattere per difendere se stessa e l'arcipela...