A Teuila non piacevano gli inglesi, ma non poteva permettersi di essere schizzinosa. Sdraiata sotto l'ennesimo cliente – l'ultimo della giornata, Madame aveva le sue leggi sulle transazioni e sulla condotta – e sballottata nello stesso modo di un cencio dentro l'acqua di una tinozza, pensava alla sua isola senza ricordarla veramente. Ormai aveva le fattezze del paesaggio nel quadro appeso, le palme si somigliavano tutte.
Da fuori, la ragazza udiva le proteste di un uomo e la voce pacata di Madame. «Lui non entra. Inutile che insiste.»
«Eh?»
«Amico tuo.»
«Ah, peggio per lui.»
Madame controllava con scrupolo i clienti, nei posti dove sapeva che nascondevano macchie e segnali. L'uomo che aveva davanti ne portava due sulle cosce e un'altra preoccupante sul membro, oltre ai brutti tatuaggi sul dito e sul braccio. Lei diceva no, lui non poteva scegliere una donna finché non veniva esaminato dal medico. Il dottor Dunn arrivava di giovedì per il controllo e adesso era sabato.
L'uomo piagnucolava, conscio che Madame Rangi era irremovibile.
Il ragazzo finì con Teuila; la ragazza si sentì sollevata dal peso e sorrise con i piccoli denti quadrati. Gliene mancava uno nell'arcata superiore, visibile quando apriva la bocca, e la rendeva più giovane dei suoi quindici anni.
«Vali tutti gli scellini. Con te non m'importa di avere le tasche vuote. Davvero, li vali tutti. Ma a te resta qualcosa?»
«Tu sei mio re.»
«Sì, ho capito, ma a te resta qualcosa? Hai tenuto la collanina che ti ho portato l'altra volta?»
Lei si alzò, nuda e flessuosa, a passetti raggiunse il cassetto del mobile di legno, frugò fra i pochi averi e tirò fuori un laccio con un dente di squalo e una pietra azzurra. Sorrise, era così che la volevano i clienti. Ci riusciva meglio quando la giornata arrivava alla fine. Si mise a sedere sui talloni, sul letto, vicino al ragazzo sdraiato che teneva le mani intrecciate sul ventre.
Madame Rangi e l'uomo se n'erano andati lontano dalla porta, al pianterreno. Era sparito il rumore tintinnante delle chiavi che la donna teneva appese alla cintura. Per tenere buono il cliente, la tenutaria gli avrebbe versato del liquore locale.
«Senti un po'» cominciò Washburn, «tu sai qualcosa dei ribelli?»
Teuila scosse la testa mentre si allacciava la collanina, con i ciondoli che le pendevano fra i seni duri. A volte i clienti le regalavano qualcosa o le portavano i loro cibi. Pochi giorni prima un inglese le aveva dato una galletta, metà la conservava per gli uccelli; le cose che si rovinavano o si consumavano poteva darle alle altre ragazze o agli animali, ma gli oggetti doveva tenerli e indossarli quando i clienti vi accennavano. Altrimenti sarebbe finita con la testa gonfia e sarebbe tornato a terrorizzarla il pensiero dell'olandese che l'aveva presa da Upolu, una delle Samoa Occidentali.
Washburn la guardò. La ragazza era diversa dalle altre con quegli occhi strani, allungati, e la stessa pelle dei creoli. No, credo che non lo sa, non spartisce con i primitivi di qui. La ragazza era un cane femmina docile e lui, al pari di Patel, poteva far parlare anche le pietre, se voleva. I compagni dicevano che nessuno sapeva estirpare confessioni al suo modo ed era capace di agitare il bastone come e meglio del nostromo. Sarebbe, infatti, che se non fosse tirchio m'avrebbe preso come aiuto, pensò. «E sai niente te, della sirena?»
«Signora di isola con capelli neri. È bella e buona.»
«L'hai mai vista?»
Teuila fece un cenno di diniego.
«E allora come sai com'è?»
«Amiche dicono. Parliamo. Io sento canto, sentito canzone» chiarì la samoana. Alzò il dito indice, lo piegò, ci pensò su, sollevò anche il medio e disse: «No, due. Una anno scorso, una anno prima. Il Blues».
Washburn rabbrividì quando il pensiero lo sfiorò. «E... sai niente di una sirena con le ali?»
Di nuovo Teuila scosse la testa. Sorrise.
È un po' cretina, pensò lui. «E della storia di quelli che tagliano la pancia alla gente e ci cavano le viscere?»
«Oh, fa paura. Mai uscire dopo che sole cade. Madame chiude tutto, porte, finestre. Non lavoriamo più di notte.»
«Oooooohei, è finito il tempo! Ti lascio qui se non scendi subito.»
La voce di Sullivan salì fino alla stanza. Washburn si trasse a sedere e si grattò il petto: cercò con gli occhi la camicia, i calzoni e le scarpe da marinaio, non voleva rientrare da solo alla pirocorvetta. Scese dal letto, raccolse la dotazione navale e s'immobilizzò. La mano libera si mosse, accarezzò il seno di Teuila, scese e la toccò ancora per portare la fragranza con sé. Odorava di acqua di mare e molluschi, la samoana, e Washburn pensò che era la sua sirena. Era pure fortunato che avesse le gambe.
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Di Pesce e di Uccello
MaceraGrand Cayman, giugno 1847. Durante la ricostruzione successiva all'ennesimo uragano, sull'isola giunge una straniera che ben presto diverrà la nemica contro la quale la Sirena del Mar dei Caraibi dovrà combattere per difendere se stessa e l'arcipela...