39. (PARTE SECONDA)

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Lo stregone guardò i fogli su cui dipingeva le fasi lunari

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Lo stregone guardò i fogli su cui dipingeva le fasi lunari. Disse al suo aiuto, nel dialetto delle isole, di portare il tamburo al centro della stanza e di lasciare la porta aperta.

«Ho detto che sarei tornato dai King per il tramonto.»

«È notte. Non puoi andartene. Te l'ho spiegato, il rituale va fatto all'appressarsi del mattino.»

«Il padrone vuole i servi e i lavoratori indietro per il tramonto, non posso star fuori tutta la notte.»

«Stupido. Impara a rassegnarti, Sambo.»

«Mi chiamo Samuel.»

«Quello è il nome che ti hanno dato i bianchi per la loro religione. Tu sei il frutto dei tuoi genitori che sono venuti da me e io ti ho battezzato Sambo.»

«Va bene.» Il ragazzo si girò per dirigersi verso l'angolo sud della baracca.

«Porta il tamburo, non dare ragione ai bianchi che ti vogliono svogliato.»

Il ragazzo mise il tamburo al centro della stanza e sedette a gambe incrociate. Si era lavato per bene con l'acqua giusta piena di erbe magiche, per poter richiamare la Potenza Astuta della Buca. Dopodiché aveva aiutato lo stregone a tenere ferma la gallina scelta, a cui il vecchio tagliò la testa, e poi era stato asperso di sangue e vestito di conchiglie e campanelli. «Dovete stare immobile per aspettare il mattino?»

«E tu starai fermo con me. Devi imparare.»

Sambo aveva già passato il tudede, aveva qualche tatuaggio sulla schiena, ma non era pronto. Guardò il burattino di ossa lordo di sangue sul davanzale, circondato dalle piume strappate alla gallina morta.

Lo stregone sollevò le maniche alla tunica rossa e mostrò braccia rinsecchite sulle quali emergevano i segni di vecchie continuate scarificazioni. Con un coltello riaprì due cicatrici bianche e lasciò che sangue e dolore lo schermassero dall'eventuale entrata nel suo corpo di entità attirate dal rito. Nella foresta e nelle parti alte del cielo vagavano gli spiriti senza pace dei morti legati a torti e violenze, ansiosi di recuperare un corpo mortale per vendicarsi, e non esisteva modo migliore se non quando lo stregone chiamava l'Entità suprema perché gli parlasse.

Il vecchio accolse in sé l'energia che fluiva dalla terra, dagli alberi, da ogni creatura che si aggirava intorno a una baracca edificata su un suolo sacro. La spinse fuori dal corpo, come se la sua pelle esalasse un fumo leggero, lo stesso calore degli oggetti disperso nelle giornate di gelo.

Dopodiché trascorsero le ore di silenzio, che precedevano il baccano, in cui lo spirito dello stregone camminava per Grand Cayman nell'oscurità stellata. Passò davanti alla Grotta e percepì il Vento e capì dov'era stato imprigionato. Passò davanti alla casa del Governatore e lo vide nel letto matrimoniale che non divideva con una donna da quando la moglie era morta di una febbre esotica. Passò dentro il Forte e vide un altro letto occupato da una giovane bionda e dal Comandante dei fanti. Passò sulla pirocorvetta e vide il capitano di guardia, si spostò sulla corvetta ancorata a fianco e vide l'ufficiale che aveva portato la Sirena. E poi scorse la Sirena poco distante nei pressi della barriera corallina.

Vagò libero dalla zavorra del corpo. Ai primi sentori dell'alba tornò indietro e, aprendo gli occhi, esclamò: «Sambo, suona!»

Il ragazzo si svegliò di soprassalto – dormiva nella sua postura di officiante, con gli occhi chiusi e le mani sul tamburo –, mosse i polsi e produsse un'improvvisa sequela di suoni palpitanti.

Lo stregone si alzò in piedi e si mise a ballare calciando in avanti, sollevando le mani giunte in preghiera, girando su sé stesso, spalancando le braccia per offrire il corpo mentre Sambo recitava: Grande Toxosu che spezzi le barche sull'acqua/la madre non riesce a portarti/un piede non basta per sostenerti.

Lo stregone piegò le ginocchia e torse il busto in un movimento impossibile, saltò con una frenesia che aumentava a ogni passo dei colpi sul tamburo, atterrò, strisciò sul terreno a scatti finché rimase immobile e avvertì il grumo che aleggiava sopra la casa oltrepassare il tetto e finirgli dentro, una grossa lancia che gli sollevò il torso in un sussulto.

Sambo smise di suonare. La foresta si era ammutolita.

Il dialogo interiore fra lo Spirito e il suo tramite durò diversi minuti. Sambo si accorse quando lo Spirito lasciava la baracca e usciva dalla porta aperta alla maniera del Vento, e lo stregone, sfinito, usava l'ultimo residuo di forza per sollevarsi, la testa piegata sul petto.

Sambo andò a prendere una noce di cocco riempita del succo di erbe rinvigorenti e udì dire allo stregone, prima di portarsela alla bocca: «Diminuisce il tempo in cui può usarmi. Cent'anni. Fra poco toccherà a te.»

«Sì, signore.»

I canti degli uccelli e i fruscii fra felci e cespugli erano ricominciati. Un aguti transitò davanti alla porta aperta annusando il sentiero.

«Portami al giaciglio. Dormirò. Stanotte andrò a riferire.»

«Che cosa vi ha detto?» Il ragazzo condusse il vecchio alle foglie di palma usate per materasso e lo fece sedere.

Lo stregone si coricò. «Ha detto che porterà una nuvola per far piovere, è desiderio della Sirena. Il resto non è affar tuo.»

Di Pesce e di UccelloDove le storie prendono vita. Scoprilo ora