56. (PARTE PRIMA)

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Avery si accorse, nell'attimo in cui Fourcade diede l'ordine, che la facilità di scatto nel meccanismo aveva spinto il proiettile più vicino di quanto volesse in modo conscio

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Avery si accorse, nell'attimo in cui Fourcade diede l'ordine, che la facilità di scatto nel meccanismo aveva spinto il proiettile più vicino di quanto volesse in modo conscio. Non poteva fermare ciò che era incominciato la mattinata del giorno del 1845 in cui si era svegliato con Kozlov e MacMourrog a guardarlo dall'alto.

Kozlov, che conosceva la derivazione e la deviazione della traiettoria della sua arma, mirò al fusto dell'albero alla sinistra del capitano, nel punto in cui la rugosità formava una lettera che gli parve d'infamia, e si limitò ad osservare quando la pallottola colpì e ruppe la corteccia in schegge e penetrò la linfa. Notò anche quanto radente fosse passata alla canna dell'avversario. Rimproverò il suo animo, che s'era riempito, all'ultimo istante, della decisione di non sollevare il braccio. Al tradimento non intendeva accostare la fellonia.

Dopo che la doppia detonazione si spense nel ventre della foresta, lasciando nelle orecchie un misto di vento e dolore, Kozlov sentì che la spalla sinistra della camicia era bruciata e irradiava un pizzicore da scottatura. Spostò la mano che tratteneva la pistola; con la canna frugò nel buco della tela e vide la pelle della clavicola arrossata.

Rialzò la testa e si accorse che Avery non intendeva sparare di nuovo, esaurito da accordo il duello. I colpi mancati o sfuggiti sono considerati come fatti.

Il capitano aveva negoziato con l'altro se stesso, aveva deciso di non far fuoco durante il tragitto che da George Town scendeva a Smith Barcadere, e l'intento si era sedimentato sulla scialuppa che raggiungeva la spiaggia. In seguito, vedendo l'espressione di Kozlov, aveva capito di non potergli riservare un'offesa simile.

I testimoni tacevano quando Avery accorciò la distanza che lo divideva da loro e porse la pistola a Fourcade perché la riponesse nella cassetta. Il dottore lasciò il fianco di Lennox e si diresse verso Kozlov per controllarne la lesione.

Bolton fece per dire qualcosa e Avery rispose: «No.» Rivolse l'attenzione al mare e vide che lei era là dove l'aveva lasciata, e le gambe si mossero per portarlo.

Nel silenzio, il Vento rinforzò e scosse la camicia blu e i capelli del capitano che, un passo diseguale dopo l'altro, si accostava alla Sirena.

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Lei avrebbe voluto gridare prima che le pistole eruttassero il ferro, ma il nuovo sentimento non poteva annullare d'improvviso e in modo indolore le ere di dovere e silenzio.

Era rimasta a osservare lo svolgimento del duello con gli stessi occhi in cui di giorno tremolava una pupilla di luce e di notte il nero dell'imparzialità, la stessa con la quale scrutava i cannoneggiamenti, gli arrembaggi, gli scontri sulla sabbia e fra le rocce, i cadaveri galleggianti appesantiti di oggetti, gli animali che s'agitavano per fuggire all'annegamento, rugliando mugghiando belando miagolando nella stessa nota acuta dei pianti di uomini e bambini.

Adesso scrutava il capitano dai capelli neri e dagli occhi della stessa trasparenza di una pietra, che un libro le aveva detto chiamarsi amazzonite, venire verso di lei, più vicino di quanto fosse mai stato.

Il Vento le gridava di levarsi. Era distante dagli anfratti di roccia entro i quali scivolare e la sabbia esercitava la forza di suzione che le ancorava la coda alla massa di granelli e le dorava il busto umido.

«Non chiamarli» disse ad alta voce. «Ne ho abbastanza degli uccelli. Lascia che vivano la loro stagione d'amore.»

Avery la udì e non intervenne. Raddrizzò le spalle nella posa militare quando fu a un respiro da lei. Annusò l'odore che gli era divenuto famigliare e avvertì il peso delle paia di occhi dietro la schiena. Si abbassò di modo che lei potesse vederlo bene. Depose le mani sulla sabbia e, come se dovesse genuflettersi sulla panca di una chiesa, s'inginocchiò e curvò la testa in segno di penitenza. «Vi prego. Restituitemi la sacrificata del Quarantacinque. Ho bisogno di saperla sottoterra e non in mare. Ho bisogno di sapere che è sepolta ed esiste un luogo dove possa pregare. Ho attentato alla vostra vita, non ho mai creduto in voi, vi ho sfidata e non si sfida Dio pensando di cavarsela. Prendetemi, se è quello che volete. Ma vi prego, esaudite il desiderio di qualcuno che suscitava la vostra simpatia. Ridate alla terra la figlia di Grand Cayman Lusia Avery.»

«La rivolete sapendo cosa fanno il mare e il tempo ai corpi?» disse lei con una voce bellissima.

«Rivoglio il cadavere decomposto o quello che è diventata.»

«E se fosse uno scheletro, come sapreste che vi darei la donna giusta e non un'altra sacrificata?»

«Fido nella clemenza, Sirena. Mi sforzo di credere che siete magnanima. Tempo addietro mi avete protetto, prima che mi rivoltassi contro di voi con uno sgarbo imperdonabile. Confido che pensiate che ho pagato il giusto prezzo, e se così non fosse punitemi.»

Una voce ispessita dalle lacrime, un viso devastato dalla sofferenza in cui lei vide la parte di un uomo che supplicava per qualcun altro e la distanza che li separava.

«Va bene» disse la Sirena, e guardò Borya Kozlov con la camicia slacciata e una pezza sulla bruciatura. «Stanotte, agli Scogli del Sacrificio» aggiunse con un tono che nemmeno il Vento udì, il corpo sdraiato sulla sabbia e le labbra accostate all'orecchio di Avery. Ne fiutò la fibra: il capitano era acqua di mare, legno di nave, conchiglia e colonia, un groviglio che da quel momento sarebbe stato per la sua eternità l'odore del desiderio e della gelosia.

Di Pesce e di UccelloDove le storie prendono vita. Scoprilo ora