Di ritorno all'ospedale per attendere i due marinai con cui aveva appuntamento alle undici, Avery si rallegrò di non boccheggiare, abituato alla durezza del terreno sotto i piedi.
Sapeva che i due avrebbero stillato fino all'ultimo rimasuglio di permesso. La prima comandata, in porto, equivaleva a un lasso di tempo fra le quindici e le ventitré, ma nessun marinaio sano di mente sarebbe tornato al tramonto rovinandosi cinque ore di liberà. Eppure li detestava. Tempo addietro era stato ben felice di fare delle concessioni: nell'animo riconosceva la stessa smania e lo stesso merito, la sua stessa contentezza era una rete a maglie larghe. Si scoprì, mentre vedeva la fetta di pane alla banana sul davanzale coperta di formiche e uccelli beccanti, ad avere la stessa attitudine alla brutalità del suo antenato. Quasi l'undicesimo comandamento di una Bibbia personale: Non avrai ciò che nemmeno io ho.
La Sirena.
Scosse la testa con veemenza e saltò la trappola a terra dell'empatia. Entrò nella villa e percorse l'atrio in cui stagnava l'odore del cibo cucinato – frutta molle, carne di pecora, crostacei – e il suo malumore crebbe. Non aveva mangiato e lo stomaco reclamava la sua parte.
Salì la scala, passò il primo piano e udì un chiacchiericcio in una delle stanze. Forse era il medico di George Town, come diavolo si chiamava? Nella sua mente i nomi erano la prima cosa a smarrirsi in tempi di difficoltà.
Raggiunse il secondo piano e le porte sui due lati del corridoio che si fronteggiavano. Entrò nella stanza e vide i pochi corpi nei letti, sempre gli stessi, e Cobb e Patterson davanti alla finestra con un libro per ciascuno e il chiarore di due lampade che rendevano la pelle giallognola.
Il capitano li salutò in silenzio, loro ricambiarono toccandosi la fronte con la nocca dell'indice e ripiombarono nella lettura: nulla al mondo, al pari dei marinai, li avrebbe levati dal momento di pace prima dell'ennesima emergenza.
Avery passò fra le due file di letti e ne raggiunse uno nella parte finale della stanza. La luna quasi piena illuminava il centro e lasciava due fasce al buio. L'aveva osservata sorgere alle sedici e trenta, bianca e fuori posto in un cielo sgombro.
Kozlov era sdraiato a occhi chiusi con una pezza sulla fronte. Un catino d'acqua e la lampada spenta erano stati messi sul comodino, in realtà un tavolo piccolo venuto male con un'asse d'appoggio.
Avery si piegò per scrutare da vicino il viso del secondo ufficiale, teso a cogliere quei segni che lui vi vedeva e li trovò negli occhi gonfi e, quando il russo li aprì, lustri.
«State sdraiato. Sono solo venuto a vedere come ve la cavate.»
«Pare che non me la cavi affatto, nemmeno con la medicina dei golomyanka.»
«Ah, l'olio puzzolente delle vostre parti che mi avete fatto sorbire una volta. Su di me ha funzionato. Forse è per i continui strapazzi.» Avery sorrise. «Almeno l'impazienza vi rende umano.»
«Sono fin troppo umano.»
Kozlov sperava di aver scacciato con il riposo il pensiero dell'umiliazione che gli ustionava l'orgoglio, invece ogni qualvolta si destava riconosceva l'inutilità dello sforzo. E piuttosto che allontanarsi, il fastidio si ingigantiva insieme al peso di un mondo sotto minaccia costante, un mondo di cose belle che venivano spazzate via con la stessa facilità di quelle brutte, ma che disequilibrio nella sofferenza! Quantunque si ingannassero, gli uomini erano attaccati agli oggetti materiali e all'ambiente in cui vivevano, era stata inserita in loro la tara della consapevolezza, lo svantaggio che avevano sugli animali. Un uccello avrebbe cercato un rifugio quando fosse stato superficialmente conscio dell'arrivo di un uragano, senza soffrire gli attimi disperati di quando non c'è più nulla da fare. Avrebbe lasciato che accadesse. Come la Sirena, che conosceva la morte perché la impartiva e continuava ad assisterla, ma non la comprendeva.
Un ciclo pressoché eterno. Forse, pensò il russo, poteva cercare di assimilarlo al meccanismo del sonno, morte e rinascita paragonate all'addormentarsi e al risveglio. Agli uomini era necessario per avere corpo e mente sani, al mondo per continuare a proliferare.
«Vorrei darvi un incarico» disse il capitano dopo un silenzio protratto.
Kozlov si mise una mano sugli occhi e la lasciò salire per togliersi la pezza. Si trasse a sedere.
Avery parlò delle due nuove uccisioni. «Vorrei mandare voi nell'East End, con i tappi e il resto. Vi darò alcuni uomini e gli altri gli sceglierete voi. L'azione vi rinfrancherà lo spirito, non è mai un bene stare troppo allettati. Non vi chiedo azioni eroiche. Vorrei che proteggeste come meglio potete la popolazione. Inoltre dovreste depredare un galeone e prendere una lancia. Se non doveste riuscire non datevi pena.»
«Quando volete che parta?»
«Se vi sentite in forze, dopodomani.»
«Aye.»
«Se posso fare un'osservazione, vi consiglierei di tagliarvi quella barba che vi fa parere il demonio di Faust.»
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Di Pesce e di Uccello
AvventuraGrand Cayman, giugno 1847. Durante la ricostruzione successiva all'ennesimo uragano, sull'isola giunge una straniera che ben presto diverrà la nemica contro la quale la Sirena del Mar dei Caraibi dovrà combattere per difendere se stessa e l'arcipela...