L'ira di Nettuno destò la Sirena Alata dalla quiescenza con quattro giorni d'anticipo. Kyriake riemerse dalla grotta nel North Side, più piccola di quando si era addormentata, incontro all'alone di luce rossa attraverso cui passò camminando nell'andatura svelta da civetta delle tane.
Il cielo era gravido di nuvole che sfilavano intorno alla bassa sfera solare senza coprirla. L'ultimo tepore del giorno le si posò sul dorso e Kyriake sbadigliò, aprì le ali indolenzite e spostò il collo a sinistra e a destra.
Un pensiero le riempiva lo stomaco.
Riattivò le ali in uno sventagliamento che sollevò la sabbia. Prese lo slancio e decollò. La brezza la sosteneva senza sforzo. L'aria è cambiata. Il vento è robusto e fresco. La Sirena Alata pensò al Greco d'inverno e si irrigidì. Se voleva uscire nonostante lui fosse arrabbiato e lo faceva, il Greco trovava il modo di renderle il volo difficile, le soffiava contro e poi dietro, la sbatacchiava come una foglia marrone. Non è lui. Non c'è follia in questo vento. Sorvolò la zona delle mangrovie, la laguna salina e il Trail. Non vedeva altro che insetti, uccelli, anfibi. Dovette volare a lungo prima di trovare due figure che si affrettavano.
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Capitava che a Teuila e Hina venisse accordato un permesso speciale da Madame Rangi, in virtù del loro carattere docile e della flessibilità fisica con cui resistevano agli amanti. Erano giovani, troppo per i canoni di Madame, che aveva atteso due anni prima di impiegarle nel servizio: la tenutaria aveva l'indole di una madre col cervello di un notaio. Le due nature a volte iniziavano un conflitto e nessuno, neppure la donna alla quale appartenevano, sapeva dire in anticipo quale delle due avrebbe preso il sopravvento.
Il giorno prima, il denaro che aveva contato sul ripiano della scrivania era il triplo del guadagno che si era attesa in una situazione di emergenza. I marinai rimasti sull'isola, al contrario di cosa succedeva di solito, avevano dato una spinta agli affari. Venivano più volte, dentro e fuori dai letti. Nella benevolenza dell'abbondanza, Madame Rangi aveva convocato le due samoane e aveva detto loro che potevano avere del tempo per loro.
Le due prediligevano un luogo dalle parti del Trail, nei pressi della Old Man Bay. Dicevano che il paesaggio ricordava la loro isola. La nostalgia rappresentava il più grande ostacolo per l'attività di Madame Rangi, non poteva essere curata con le polveri o con un salasso, e quando prendeva le ragazze le consumava. Era un male che si innervava all'interno e ne spegneva i sorrisi e le speranze.
Teuila e Hina accettavano i doni di Madame nello stesso modo dei regali dei clienti. Quel pomeriggio avevano raccolto alcune noci di cocco di cui avevano bevuto il latte. Camminare nella foresta del Trail, in cui grandi mastici gialli svettavano sopra un intrico disorientante di arbusti e piccole piante smilze e ondulanti con le foglie tonde e i frutti verdi, placava il bisogno di tornare dove sapevano di non poter tornare. Nessuna delle due rammentava il tragitto per l'isola nativa: se avessero avuto il denaro per partire non avrebbero saputo dove andare o dove indirizzare i bianchi con le navi.
Teuila sperava che Washburn mantenesse la promessa e, mentre Hina spostava i rami per capire dove fosse il mare, torturava la pietra azzurra con il dente di squalo e la conchiglia – un'ultima aggiunta – che portava al collo.
A un certo punto, il crocchiare sotto i piedi dei legnetti secchi e degli insetti che avevano finito il tempo di vivere e lo scuotere dei rami scostati dalle mani grandi di Hina vennero surclassati da un grande soffio di ventaglio.
Teuila avvertì una conca nell'aria e un vento tiepido che le spostava indietro i capelli lisci, seguito dal profumo di qualcosa che non aveva mai annusato. Davanti agli occhi calò una macchia, lei ne vide i colori e un luccichio giallo. Udì Hina che gridava e le cadeva ai piedi, e balzò indietro perché non le schiacciasse le scarpe buone. Continuò a indietreggiare per istinto, gli occhi frenetici che non vedevano niente nel verde e nel marrone: l'urlo le aveva scatenato la paura e la paura le otturava le orecchie.
Ma ebbe l'incoscienza di sapere e scorse Hina sdraiata a terra, tenuta ferma dal peso della forma che si era riempita di particolari: era l'atafa* più grande che lei avesse visto. Rimase muta, come se le avessero preso la lingua con le dita e ne avessero schiacciato le estremità laterali in un rotolo, quando incontrò il viso di donna che sovrastava il corpo di uccello.
Kyriake osservò la samoana con la conchiglia al collo e rabbrividì. L'ultimo attacco dei britannici le aveva scaricato in corpo decine di frammenti di guscio di molluschi. Aveva impiegato giorni a liberarsene; la carne le palpitava, le decine di ferite da cui spurgava l'icore parevano cuori moltiplicati che battevano, frizzavano e si gonfiavano. Poi era venuto il sonno salvifico.
«Vattene» ordinò la Sirena Alata. Poi rivolse il viso all'altra donna che strillava e scalciava, gli occhi sbarrati e la parte inferiore del vestito fradicia. Il canto non placava le femmine. D'abitudine Kyriake non le voleva per l'ammontare di sofferenza di cui caricavano l'anima, che le risultava indigesta, né per l'odore ferroso del ventre da cui lei aveva visto più d'una volta uscire il sangue mensile. E non le voleva per il modo in cui soffrivano quando lacerava la pelle e i muscoli: non era giusto che patissero, le ripeteva la madre. Ma ne aveva bisogno, allo stesso modo di quando era sbarcata su Grand Cayman e si era presa una negra a passeggio con un vecchio.
Teuila vide la bocca dell'atafa che cambiava forma, diventava il coltello aguzzo con cui l'uccello apriva e frugava altri uccelli marini indifesi. La testa le pulsava e non si accorse che la figura di Hina rimpiccioliva mentre crescevano le urla, le si incollavano alla schiena e le appesantivano il passo. La foresta era diventata ostile, la picchiava sulla faccia e sul corpo, le strappava i capelli. La fece cadere, le lacerò la pelle delle ginocchia, le insozzò un abito già sporco.
Le urla che si susseguivano attraversarono gli spazi fra i rami, fra i petali, fra il movimento delle gambe. La Sirena, la Sirena, cantilenava Teuila. Il mare sfilava alla sua sinistra, finestre blu fra pareti di palme, e lei si allontanava dal viso del mostro con le grida dell'amica in una gerla invisibile sulle spalle. Ne udì altre tre prima che smettessero. Si fermò e rimase ad ansimare. Notò la canoa. Erano venute da sole alla Old Man Bay.
Teuila entrò nella barca e prese il remo. Le cadde in grembo, le braccia non rispondevano. Lo riprese e lo tenne con la sinistra, il remo formava una perpendicolare con la barca e spioveva sull'acqua. La samoana frugò sul fondo, trovò l'asta di legno di Hina, esitò a toccarla: non avrebbe saputo comunque manovrare due remi. Cominciò a vogare e capì che la barca non avanzava. Batté con violenza la pala nell'acqua e alzò spruzzi salati che le ricadevano addosso. Si voltò, certa di trovare gli artigli del mostro sul legno. Invece la corda legata a una palma ancorava l'imbarcazione alla terraferma.
La ragazza torturò per dieci minuti la corda, con le dita che si scostavano appena tentava di afferrarla. Abbassò il viso, e nella disperazione provò a morderla con i denti. Assaporò il gusto acidulo della canapa. Piangeva quando il dente di squalo le batté contro il petto. Sfilò la collana. Con pazienza, tenendo nella mano destra il dente di squalo, sfregando e recitando una cantilena all'immagine sbiadita, nella mente, di una testa gigante piantata in un piazzale del suo villaggio, riuscì a squarciare la corda.
* Nome con cui nelle isole di Samoa è conosciuta la fregata.
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Di Pesce e di Uccello
AdventureGrand Cayman, giugno 1847. Durante la ricostruzione successiva all'ennesimo uragano, sull'isola giunge una straniera che ben presto diverrà la nemica contro la quale la Sirena del Mar dei Caraibi dovrà combattere per difendere se stessa e l'arcipela...