28. (PARTE PRIMA)

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La pirocorvetta attraccò a Turtle Fence durante la seconda comandata, sotto un cielo coperto

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La pirocorvetta attraccò a Turtle Fence durante la seconda comandata, sotto un cielo coperto.

Avery, al coronamento, si domandava se nelle ore che sarebbero seguite avrebbe piovuto. «Signor Bolton» disse, e si voltò senza ricordarsi che i tappi nelle orecchie non permettevano di udire. Vide il nocchiere chino sulla chiesuola. Non era un piegamento per leggere o scrivere alla luce delle lanterne, gli parve che l'uomo fosse accasciato. Si avvicinò e tolse uno dei tappi. «Bolton, vi sentite male?» Dovette toccarlo.

«Oh? Signore, mi duole un orecchio.»

Avery si accorse della mano stretta a pugno del nocchiere e l'assenza del tappo.

«Temo di averlo ficcato troppo a fondo.»

«Scendete e fatevi dare un'occhiata.» Avery sollevò una mano e gesticolò.

Un marinaio del castello di prua accorse, il capitano gli fece cenno di levarsi i tappi e disse: «Portate il signor Bolton in infermeria.» Dopodiché prese in carico due guardie ravvicinate e attese una pioggia che non venne. Il cielo si aprì a chiazze sotto un vento appena percettibile che districava le fronde degli alberi.

Non può essere come dice Lennox, le sirene sono due.

L'ultima volta che Avery aveva parlato con Cristoforo, la conversazione risaliva a due giorni prima, il timoniere aveva chiarito che nessuno trovava mai i cadaveri e gli scheletri dei sacrificati.

«Si pensa che la Sirena li tenga con sé, in fondo al mare, insieme agli oggetti che prende dai relitti. Quindi, signore, sono convinto che sia qualcosa d'altro che mangia la gente e la lascia a marcire sui sentieri».

Avery si era fatto raccontare cosa Cristoforo ricordava della vecchia vita, i modi in cui gli indigeni assassinavano i bianchi o compivano i rituali. Il timoniere aveva parlato di erbe magiche mescolate all'acqua di mare, al sangue di gallina o montone, notti precise di un calendario sconosciuto, nomi impronunciabili, luoghi sacri con alberi e fiori e animali sacri, danze e amuleti e coltelli benedetti. Una religiosità che un pastore avrebbe aberrato, trovando di cattivo gusto ascoltare l'uso di una terminologia che, sebbene uguale, aveva un significato diverso.

Lusia non ha mai descritto la sua famiglia, i suoi costumi. Il poco che Avery conosceva era frutto di osservazioni, di ciò che l'indigena voleva mostrargli. Il capitano provò di nuovo la sensazione di essere un uomo solo raggirato dalle persone che intasavano il mondo e le occasioni spingevano vicino. Lusia non poteva essersi offerta al sacrificio con l'animo consapevole, dovevano averla imbrogliata, non c'era stato nessun segnale negli anni che potesse spingerlo a credere che la sua amante fosse uguale al resto degli abitanti. Si chiese: l'avrebbe amata se l'avesse scoperta a ballare nuda e invasata nella foresta, intenta a cospargersi di polveri e liquidi e a inneggiare con suoni gutturali a una divinità pagana? E gli sorse il pensiero della stranezza di una sirena bianca. Aveva ragione il signor King, le volte in cui lo tratteneva nello studio a parlare di politica e commercio, che gli indigeni di Grand Cayman erano incapaci di portare avanti le loro esistenze se nessun bianco comandava loro come fare.

Il custode della biblioteca ha spiegato che la parola "uragano" deriva dall'antica mitologia Taino, il cui culto ruota attorno a una distruttrice dal carattere tempestoso chiamata Guabancex, alla quale se non soddisfanno le offerte manda nel mondo gli Juracán, semidei in grado di controllare il clima. 

La sirena dei Caraibi, la cui fama si era espansa a Guadalupa, Cuba e nelle isole limitrofe, poteva essere la Guabancex della leggenda o, tutt'al più, una Juracán senza nome.

La sostanza non cambiava di molto. La sirena era comunque una divinità e come tale usava gli uomini a suo piacimento. Burattini, aveva detto Babcock, che pareva non andare d'accordo con Fuller. Avery rifletté sulla possibilità che uomini con le medesime inclinazioni potessero riconoscersi a vicenda, e sapeva che per la tranquillità di spirito era meglio non avere due galli nello stesso pollaio. A meno che, pensò senza finire la frase. Avrebbe dovuto fare lo stesso con Lusia, non finire le frasi in cui lei compariva, cercare di staccarsi. Tuttavia, ogni volta che tentava gli pareva di farle un torto. Non l'aveva amata abbastanza. Non la amava tuttora abbastanza, altrimenti non avrebbe avuto pensieri di lei baccante nella foresta né gli sarebbe importata la sua religione o il suo modo di agghindarsi. In realtà voleva renderla una bianca, vestendola da inglese e sposandola da inglese.

Si ricordò quando Lusia gli aveva detto "siamo sposati" sotto un kapok più vecchio dell'albero del Forte. Aveva insistito che la loro unione era stata benedetta dai suoi antenati duppies, e lui aveva sghignazzato al pensiero dei fantasmi benedicenti e le aveva cancellato le parole inginocchiandosi davanti a lei. Non aveva inteso offrirle un anello.

Non la conoscevo. Non l'aveva mai conosciuta eppure la voleva con sé. E quando scivolava su questi pensieri, il capitano tornava nel suo labirinto a cui spuntavano svolte e siepi nell'ingarbugliata planimetria.

Di Pesce e di UccelloDove le storie prendono vita. Scoprilo ora